Avevo 10 anni, in casa mia c’erano 4 dischi: Azzurro di Celentano (classico), La buona novella di De Andrè (che non sono mai riuscito ad apprezzare), Jannacci Enzo di Jannacci (adorabile), e Far finta di essere sani di Giorgio Gaber.
A quell’età non potevo capire la musica ed i testi di quel disco, ma me ne innamorai perdutamente fino a consumarlo, fino a conoscerne persino i click dovuti dall’usura degli ascolti.
Crescendo quell’amore si è amplificato ed è maturato, ho incominciato a comprenderne i testi e quelle canzoni e quei monologhi mi hanno fatto entrare in sintonia con quell’uomo che diceva delle cose col sorriso sulle labbra, ma cose vere che dicevano dell’uomo, dicevano di me, descrivevano le paure, le emozioni, le senzazioni, le gioie e la rabbia che sono dentro ognuno di noi. Mi ci sono ritrovato, mi sono scoperto, mi sono aperto al mondo e in quelle parole e musica ho trovato insegnamento, confronto, consolazione e una grande affinità.
Ho avuto la fortuna di sedermi ad un tavolo con lui e quell’ora passata in sua compagnia me lo ha rivelato per quello che pensavo fosse, un uomo libero, con tutti i limiti, le fobie e i sogni di ognuno di noi ma con una lucida lettura dell’uomo, della vita e del contesto temporale e sociale in cui era immerso. A distanza di anni le sue canzoni sono rimaste attuali e vive, nel tempo, riproponendole nei suoi spettacoli, ha cambiato alcune parole, alcuni nomi per poterle contestualizzare ma le canzoni ed i temi trattati, quelli, sono rimasti vivi e veri a tutt’oggi. Raccontava con parole e musica, parlava dell’uomo leggendosi dentro, guardandolo dal di fuori, una volta ha immaginato di essere dio, rideva, ci giocava sopra facendomi sorridere, gettandomi nello sconforto, lasciandomi a bocca aperta a meravigliarmi di qualunque parola, nota bassa, gesto uscisse da quel suo esile corpo.
Ho partecipato ad alcuni dei suoi spettacoli e non dimenticherò mai i suoi movimenti, le sue smorfie e quella voce che ti entrava dentro, una voce che più volte mi è venuto da paragonare alla schiuma della sua Shampoo, una voce dentro la quale era facile abbandonarsi e lasciarsi trasportare. Giorgio Gaber mi è stato da maestro per 40 anni e continuerà a farlo, non posso dire se grazie a lui ora sono un uomo migliore, ma sicuramente Giorgio Gaber ha contribuito in maniera massiccia a fare di me quello che sono, a darmi una lettura della realtà e del grande cosmo umano, sicuramente senza di lui sarei un uomo diverso e per questo lo ringrazio infinitamente, è e resterà una delle figure “pilastro” della mia vita.
Grazie G.