In missione per conto di Dio
Un pezzo importante della mia “storia musicale” degli ultimi 10 anni passa sicuramente da Miami & the Groovers, li ho visti scalpitare, fremere, mutare, cambiare, gridare, soffrire, lottare, emozionare, crescere, cercare… tutto questo dopo ogni disco, dopo ogni concerto… non li ho mai visti perdere la forza, la carica, la speranza e la fede nel r’n’r. Quella stessa fede che riunisce tutti noi sotto un unico grande credo… la musica.
Racchiudere il rock in un disco non è facile, il rock è sudore, lacrime e sangue, è l’attesa del concerto, è trovarsi spalla a spalla con degli sconosciuti che per due ore diventano compagni di cammino, è urlare, cantare è chiedere sempre di più e ancora e ancora a chiunque in quel momento sul palco incarna il seme del rock.
Ascoltare un disco di M&TG è per me pormi in quest’ottica perchè tutto ciò che c’è nel disco lo immagino trasposto su di un palco, grande o piccolo che sia perchè l’energia, quella, rimane inalterata.
Potrei anche sbagliarmi affermando che The king is dead sia una delle canzoni migliori mai scritta dalla band… ma più l’ascolto e più sono convinto delle vibrazioni che mi arrivano direttamente dalla pancia e della mia affermazione perchè è quello che volevo sentire da Lorenzo e soci, è la risposta musicale più bella che potevano darmi alla domanda “come sarà questo disco?” il disco…è come Dio comanda! Il violino di Federico Mecozzi farebbe resuscitare i morti e quel bridge con solo finale di Alessio e Federico è più taumaturgico dell’acqua benedetta. Io ho visto la luce!
In On the Rox le luci si abbassano per evocare lo spirito di John Belushi all’interno di una delle più belle ed emozionanti ballad di Miami e se chiudo gli occhi sulle note del solo di Beppe vedo le scie lasciate dal passaggio del fantasma di John che gioca sui tasti bianchi e neri del piano di Alessio.
In ottica “live” Hey you è, e rappresenterà, la catarsi del r’n’r, canzone che ripercorre la tradizione… sapida, secca, pulita e maledettamente trascinante… pezzone!!!
Cupa. notturna e polverosa arriva Back to the wall a dipingere un chiaro-scuro di sentimenti contrastanti ad aprire spiragli di speranze di duelli con l’anima e chiudere i ponti col passato.
Amo la “fisa” e in Hallelujah man posso godere della sua straordinaria versatilità e bellezza, una canzone che non lascia tregua è contagiosa quanto il morbillo per quanto non mi lasci fermo sulla sedia e mi rimbazi in ogni angolo del corpo e della mente, sono al terzo ascolto consecutivo oops… volevo dire quarto… ed è come essere sulle montagne russe c’è tutto quello che desidero e anche di più… S P E T T A C O L O!!!
The other room è una di quelle canzoni dove Lorenzo riesce a tirare fuori il meglio di sè… accompagnato dalle voci di Michele Tani e Marcello Dolci (Nashville & Backbones) estrae dal cilindro, con una semplicità disarmante, una ballad “d’altri tempi” senza fronzoli, senza sovrastrutture, una canzone che arriva direttamente al cuore.
Don’t riporta il disco sui binari del rock con sfumature “garage”, i nostri si sporcano le mani e fanno lavorare il V8 dei M&TG a pieno regime.
Mi fa piacere in questo The Ghost King ritrovare un Alessio Raffaelli molto presente, regge insieme al violino Federico Mecozzi e alle voci di Michele e Marcello questa We can rise che sembra avere una marcia in più, un sapore diverso, un respiro più ampio. Toccante.
Sono particolarmente affezionato a Waitin’ for my train perchè ho avuto la fortuna e l’onore di averla vista nascere in studio; è il classico esempio di come con tre semplici accordi, una chitarra, un basso ed un mandolino (Massimo Marches) si possa costruire una gran bella canzone di quelle da cantare unplugged a viva voce e da continuare a canticchiare perché una volta entrata in circolo fatica ad uscire dalla nostra mente.
Finalmente dopo averla ascoltata live, prende vita e forma in studio anche Spotlight, una gran bella lettura della vita che mi lascia pieno di speranza, è già una compagna di cammino, un’altra grande ballad.
in conclusione i M&TG continuano la tradizione “irish” e dopo We’re Still Alive, presente su Good Thing, sfornano un’altrettanto trainante ed epica Heaven or hell, oltre al grande lavoro della fisa di Alessio la canzone è impreziosita dal violino di Federico Mecozzi, di grande impatto emotivo ed evocativo, una grande conclusione di album, di quelle che non si dimenticano.
I suoni sono puliti, sapidi e aridi quel tanto che basta anche nei pezzi più “tirati” non esagerano mai e questo regala un grande equilibrio generale
Il piano, la tastiera e la fisa di Alessio hanno giocato un ruolo determinante e regalato una maturità musicale mai ascoltata fino ad oggi, a volte emozionante, altre evocativo, altre ancora debordante e trascinante.
Luca Angelici e Marco Ferri non ne sbagliano una e l’accoppiata ritmica ne esce ancora una volta vincente mostrando i muscoli quando serve mostrarli e delicatezza quando l’occasione la richiede.
Gli ospiti hanno fornito quel “sapore” in più, indovinati i loro interventi con canzoni che sembrano cucite loro addosso e Federico Mecozzi su tutti regala sensazioni inenearrabili.
I testi raccontano storie legate tra di loro, rendendo l’album ancora più coeso, il lavoro più maturo dei 4 in studio, forse il meno rock ma sicuramente il più emotivamente intenso e soferto, un disco che lascia un segno e scava un solco nell’animo anche dell’ascoltatore più distratto.
Le canzoni non sono li a caso seguono un filo musicale ed una narrazione intrigante, ci vuole coraggio per fare per questi tipi di scelte la band è cresciuta e maturata sotto tutti gli aspetti, ho trovato cuore e anima e sono stato toccato anch’io dalla luce che irradia questo Re fantasma.
Lorenzo, Alessio, Beppe, Luca e Marco, ricordate che siete in missione per conto di Dio, ed è vostro ancora una volta, il compito di salvarci con la vostra musica.