Victoria Bailey – Jesus, Red Wine e Patsy Cline

Victoria Bailey ha riassunto in questo titolo tutto ciò di cui abbiamo bisogno unendo suono honky tonk, Patsy Cline, Emmylou Harris, Loretta Lynn e Dolly Parton e trasportando lo spirito del Bakersfield sound della sua nativa California, nel 21 ° secolo grazie a canzoni fuori dagli schemi edulcorati della maggior parte delle cantanti contemporanee nel regno country.

Jesus, Red Wine e Patsy Cline che è uscito il 18 Settembre 2020 è Il suo primo album e contiene nove canzoni, otto originali e una cover. Racconta storie d’amore, di dolore e di viaggi all’inseguimento dei propri sogni, abbracciando le radici più profonde della cultura della musica country. Un disco da assaporare come un genuino moonshine fatto da chitarra, violino e pedal steel sullo sfondo dei paesaggi californiani.

Honky Tonk Woman, è stata la prima canzone scritta per il disco e rappresenta un manifesto programmatico dove ci racconta di come sogni di diventare la cantante country perfetta, in grado di essere la colonna sonora per tutti i momenti importanti della vita.

The Beginning è una canzone d’amore nato su una pista da ballo interamente costruita sull’intreccio di chitarra acustica, elettrica e pedal steel.

Ramblin ‘Man è una ballad adagiata su una languida steel guitar e racconta di sotterfugi e scorciatoie invece di intraprendere la strada dell’onestà.

Spent My Dime on White Wine, è impreziosita dal supporto di un coro gospel sostenuto da un piano Rhodes.

Homegrown Roots è un brano dedicato a Nashville che ammicca ai facili ritornelli tipici di Music City.

La cover è Tennessee per rendere omaggio a Johnny Cash reinterpretandola in perfetta linea con i suoi otto originali.

Outlaw riunisce il twang ed il western swing risultando un grazioso valzer sulle cui note scorre un’armonica a cucirne la melodia.

Skid Row è un chiaro omaggio all’ honky tonk grazie anche al classico pianoforte e al fiddle.

L’album si conclude con Travelin ‘Kind, un monito sulle difficoltà che si possono incontrare avendo una relazione con un musicista che trascorre la maggior parte del tempo in viaggio.

Victoria è stata sempre circondata dalla musica, suo padre era batterista di una rock ‘n’ roll band mentre sua madre ascoltava il folk di Cat Stevens e James Taylor. Dopo aver ottenuto la sua prima chitarra all’età di 12 anni, ha incominciato da subito a scrivere canzoni, un talento che da lì a pochi anni stupì così tanto suo padre che alla fine decise di chiamare i suoi tre migliori amici musicisti chiedendo loro di  unirsi a lui e diventare la band di supporto di sua figlia, incominciando ad esibirsi in giro per il Golden State. Suonando in honky tonks e bar ha incominciato piano piano a farsi le ossa imparando il mestiere della musicista country tradizionale. Trascorsi cinque o sei anni era pronta a trasporre la sua straordinaria propensione per i concerti live al debutto con un intero album.

Il country classico cattura e fa sentire le persone a proprio agio, questo disco mi fa sentire proprio così, a casa, al sicuro, a mio completo agio. Un disco splendido che le è valso la copertina di Country People Magazine di Febbraio 2021 e credo un posto nel cuore di tutti noi.

Scott MacKay – Stupid Cupid

Una cosa che apprezzo della cultura americana è il rispetto delle tradizioni di famiglia e di tutto ciò che gli è appartenuto, il preservarne i ricordi e farne tesoro. La musica country è lo specchio di questo, di come la tradizione musicale venga tramandata di generazione in generazione mantenendone immutato il valore. Scott MacKay è un giovane che è cresciuto col suono Twang delle Telecaster  e di tutto quello che proviene dalla musica country degli anni ’50 e ’60. Viene da Charlottetown in Canada e nelle 10 canzoni originali che compongono il suo terzo album Stupid Cupid, offre una versione fresca e moderna del country classico. Il suo amore per questa musica è sbocciato definitivamente una sera ad un open-mic al Cafe Koi di Calgary dove ha incontrato un artista di nome Carter Felker che lo ha invitato ad una jam session dove ha conosciuto John Prine, e il mondo di musica country gli si è spalancato dinnanzi.

MacKay affronta i temi classici della musica country quello giocoso, quello di amori finiti, quello di omicidi… raccontandoli sempre con una buona dose di umorismo nei testi lasciando comunque a una parte emozionale nelle canzoni dove si ride e si gioca ma dove ogni tanto si versa anche una lacrima. Per migliorare il suo stile, Scott ha seguito corsi di scrittura a Nashville ed anche il suo lavoro di insegnante elementare lo aiuta molto nel rendere freschi, moderni ed immediati i suoi testi. Un disco di country degli anni ’50 completamente immerso nel 2021 che fa esattamente ciò che un disco di musica country deve fare… farci stare bene!

Lovesick Duo – All Over Again

Francesca Alinovi e Paolo Roberto Pianezza sono due persone fantastiche, due musicisti con i controca… fiocchi, ma prima di tutto due amici con i quali ho avuto la fortuna di condividere alcuni momentiI indimenticabili e la passione per la cultura musicale del sud degli stati uniti il folk, il country&western, il rockabilly. Sono un duo composto da double bass e chitarra, non si avvalgono di batteria perché Francesca, grazie alla tecnica Thumb and Popping  applicata al contrabbasso, sostiene interamente la parte ritmica incrementata durante l’ultimo anno, dell’aggiunta di un brush pad che applicato alla parte superiore del corpo del double bass funge da rullante che Francesca suona con una spazzola con una scioltezza che fa sembrare facile quello che invece è un grande dono, pochi come lei sono in grado di trattare così uno strumento considerato di backline che nelle sue mani diventa un assoluto ed insostituibile protagonista. 

Paolo, suona chitarra elettrica, chitarra resofonica e lap steel, dire solo che suona è riduttivo perché è uno dei migliori chitarristi che abbia mai visto in azione, una tecnica ed una facilità di passare da uno strumento e da uno stile all’altro impressionanti e se unito a questo mettiamo il fatto che mentre fa tutto ciò canta e anche molto bene.. entra nella categoria dei fenomeni.

Paolo è la voce principale e l’autore dei brani che vengono perfezionati insieme e dove Francesca sostiene tutti i cori.

Durante i primi anni hanno documentato la loro attività con un VLOG divertentissimo nel quale raccontavano la vita dei musicisti on the road ed un appuntamento il lunedì pomeriggio nel quale, in diretta streaming, invitavano musicisti nel loro salotto coi quali parlavano di musica e improvvisavano jam session.

Il nome Lovesick Duo deriva dalla canzone Lovesick Blues di Hank Williams che apre il loro primo disco omonimo del 2015 che è un omaggio ai classici del folk del country e del r’n’r dove si trova tanta tradizione americana (Texas Plyboys, Chuck Berry, Merle Travis, Hank Williams…)

The New Orleans Session (2017) è un disco registrato durante uno dei loro lunghi viaggi annuali a New Orleans, soggiorni nei quali approfondiscono la lingua, la cultura e la musica stringendo Jam Session improvvisate con gli artisti che popolano quelle strade che trasudano di musica e tradizioni ed esibendosi a loro voltaovunque gli capiti di suonare. In questo disco incominciano ad apparire le prime canzoni scritte in italiano, alcune delle quali saranno inserite nel loro primo vero e proprio disco di inediti La valigia di cartone del 2018. 

Nonostante abbiano da tempo pronto un nuovo disco di inediti in italiano, in questo 2021 hanno deciso di pubblicarne uno di inediti in inglese in previsione di un tour estivo in giro per tutta l’Europa, ci auguriamo che l’emergenza COVID gli permetta di far conoscere la loro musica in giro per il mondo… se lo meritano davvero.

All Over Again è uscito il 15 di Gennaio, in formato digitale, in CD ed in Vinile. Sono rimasti i testi ironici che in questo disco sono però in inglese e le grandi performance al double bass della Fra e l’uso massiccio di chitarre da parte di Paolo. La title track e Second Chance saranno rispettivamente il lato A e il lato B del loro 45 giri, di entrambe le canzoni sono già usciti due splendidi video. Parlano, la prima, di conquiste amorose mentre l’altra della seconda possibilità di ricostruire il rapporto con la fidanzata giocata su un simpatico duetto vocale e strumentale. Black and White Light ha venature blues, I Might Be Going Home richiama il western swing con la chitarra resofonica a dettarne la linea. Ain’t No Other Place (For You and Me) ci riporta al temi tipici del Vaudeville arricchito dalla presenza del Fiddle di Alessandro Cosentino. I Wish You Were My Baby è una ballad up tempo tipica dei ’50 a tema corteggiamento. I’m in Love with My Baby, tipicamente rockabilly, parla sinteticamente dell’accettazione dell’altro. Paradise Island è un brano strumentale interamente giocato con la lap steel, uno strumento di origine Hawaiana, che riporta automaticamente alla mente le spiagge delle isole dell’arcipelago americano. I Don’t Love You Anymore è una country ballad che affronta un classico tema del genere… un amore finito. The World Is Different Without You porta lo spirito direttamente a Frenchmen Street, la strada della musica di New Orleans. That Record That You Liked è una ballad in perfetta linea con lo stile Americana. Lovesick Boogie, come dice il titolo stesso, è un boogie-woogie strumentale dall’atmosfera dei primi del ‘900. Il disco non potrebbe trovare conclusione migliore che con Today’s the Day, un consiglio che richiama il Carpe diem Oraziano e ci invita a prendere tutto quanto di buono ci riserva il giorno che stiamo vivendo.

Un disco divertente e travolgente dove i testi rispecchiano quelli già apprezzati nelle loro composizioni in lingua italiana rendendo il prodotto vendibilissimo sia sul mercato nord ed est europeo che su quello d’oltre oceano. Scittura fresca e immediata che, anche grazie alla grande presenza della Frà e di Paolo sul palco, continuerà a coinvolgere, nonostante la distanza linguistica, il pubblico che accorrerà sempre numeroso ad ascoltarli. Lovesick Duo sono quanto di più vicino possa esserci in italia alla filosofia musicale del Country Bunker, oltre all’affetto ed alla stima che provo per loro, All over again è un disco acquistare, da consumare e da spammare… questa è la Musica che voglio e che desidero ascoltare.

David Quinn – Letting Go

David Quinn nasce a Chicago come batterista, nei lunghi periodi trascorsi in tour per gli Stati Uniti con numerose band, ha trovato il tempo, durante i lunghi spostamenti, di scrivere un ampio catalogo di canzoni. Tornato nel Midwest per riordinare le idee, è immediatamente partito per Nashville. Qui un paio di miglia ad est di Music City, si trova The Bomb Shelter, uno degli studi di registrazione analogici più attrezzati di Nashville, dove sembra che il tempo si sia fermato agli anni ’70, di proprietà di Andrija Tokic, conosciuto alle masse per aver prodotto nel 2012 l’album Boys and Girls di Alabama Shakes. David Quinn ha registrato lì nel giugno 2018 il suo primo album Wandering Fool con una band composta da Dave Roe (il bassista di Johnny Cash), Jimmy Lester (batterista di Billy Joe Shaver) e Micah Hulscher (tastierista di Margo Price). La fusione di questi musicisti iconici con il suo stile country del Midwest ha dato al suo primo album in studio un suono unico nel panorama del country classico. David aveva tante canzoni pronte che immediatamente nel 2020 è uscito con un nuovo album Letting Go, con la produzione di Mike Stankiewicz troviamo ancora Micah Hulscher insieme ad un manipolo di musicisti di prim’ordine: Dillon Napier (batteria), Jamie Davis (chitarra), Brett Resnick (steel guitar) e Laur Joamets (già chitarrista di Sturgill Simpson e ora Drivin’ & Cryin’). Al contrario di molti dischi pubblicati ad east-Nashville, a volte troppo ridondanti di suoni anni ’70, questo Letting Go è un vero disco country del 2020, duro e puro, dai suoni moderni e puliti con canzoni che rispecchiano appieno la filosofia esistenziale del Country, quella che ci spinge ad andare avanti nonostante le difficoltà, invitandoci a lasciarsi alle spalle tutti i problemi della vita.

Le canzoni contenute nel disco sono classic country, già con la title track appare un twang da California anni ’50 e un sentore di honky tonk incomincia a pervadere l’intero disco. Ride On e Thunderbird Wine sono due up-tempo al fulmicotone, 1000 Miles e Midnight Woman sono quanto di meglio si possa trovare sul mercato dell’Outlaw Country. Hope I Don’t e Let Me Die With My Boots On sono due classiche Country Songs. Horse e la conclusiva Maybe I’ll Move Out to California sono due languide country ballad sostenute la prima da una steel guitar e l’altra da una Telecaster.  Born to Lose è forse la meno ortodossa, incorpora sfumature blues pur mantenendo la coerenza di una country song. 

Forse per tutto quanto ci sta accadendo attorno, forse per la ricerca di un ritorno alle cose semplici, forse perché stanchi della melassa country pop che l’industria discografica di Nashville cerca di propinarci quotidianamente, sta di fatto che, questo 2020 ci continua a regalare dischi con quel suono e quelle storie che vorremmo ascoltare sempre, non andando a riascoltare Waylon Jennings o Merle Haggard, ma scritte da ragazzi giovani che fortunatamente riescono a regalarci in questi tempi bui, quelle emozioni ancestrali che solo la musica country&western è in grado di offrirci.

The Piedmont Boys – Almost Home

La mia crociata a favore della Country Music continua. Quello che ci è stato tolto in questo periodo storico è la curiosità… ora ci sono applicazioni e social che fanno tutto al posto nostro tracciandoci e cercando di individuare i nostri gusti, filtrando le notizie, i video e le canzoni che secondo un algoritmo sofisticatissimo sono i più adatti per noi. In tanti purtroppo non si preoccupano, gli basta essere generalmente informati e così pensano di essere al passo con i tempi. Parlare di rock e di pop nel 2020 è totalmente inutile perché non esistono più, sono stati massificati in un calderone che accontenta tutti quelli che hanno perso la curiosità ma l’algoritmo più importante si trova tra la nostra pancia ed il nostro cuore ed è l’unico che ci fa emozionare davvero. Musicalmente parlando ci sono stati nella mia vita sabato interi passati al New Note ad ascoltare i dischi appena usciti, ora grazie alla tecnologia, che se usata con intelligenza è uno strumento utilissimo, passo i sabato ad ascoltare musica, le ultime uscite, le storie e cosa succede nel mondo musicale. Il Country è una musica onesta, fatta da gente onesta che racconta storie di vita quotidiana, una musica empatica che rilascia endorfina. Fortunatamente scavando appena sotto la superficie si possono scoprire tanti cantanti e gruppi che onestamente portano avanti in maniera incontaminata i due generi musicali. Tra loro ci sono The Piedmont Boys originari di  Greenville, SC fondati una decina di anni fa dal frontman Greg Payne, voce e chitarra e composti da: Stuart McConnell chitarra, Matt Parks violino, Mike Johnson basso e Tony Pilot batteria. Hanno percorso migliaia di chilometri per suonare altrettanti concerti, hanno pubblicato quattro album e girato metà degli Stati Uniti continentali, ovunque vadano, alla fine di ogni concerto, si sentono ripetere la stessa frase: “Non mi è mai piaciuta la musica country finché non vi ho ascoltati”. La frase è pronunciata da persone abituate alla pop-country annacquata che sentono alla radio ogni giorno, perché senza la curiosità di scoprire di cosa si ha bisogno davvero è questo quello a cui siamo destinati… accontentarsi perché crediamo non ci sia altro. 

Se non conoscete Outlaw Country, honky-tonk, Blue-collar music, bicchieri di whiskey, campi di grano, mandrie da radunare, le gioie e i dolori della vita… potete recuperare ascoltando The Piedmont Boys, una band che ama così tanto suonare dal vivo che non hanno avuto un fine settimana libero in sette anni.

Almost Home è un album Country come deve essere un album country, l’iniziale Rice Beans è stata anche la traccia principale del loro album di debutto del 2008, è apparsa di nuovo nel loro disco del 2015 Scars & Bars e ancora nel 2016 in All On Red non è solo una traccia, è un biglietto da visita che dopo 30 secondi di ascolto ci catapulta all’interno del fantastico mondo della Country Music, che ci avvolge, ci abbraccia, ci racconta storie, ci fa sentire bene, a posto con il mondo, che non risolve certo tutti i nostri problemi ma che sicuramente ci aiuta ad affrontarli molto meglio.

Non li definirei una band di Outlaw, più della steel guitar i protagonisti principali del suono della band sono la chitarra di Stuart McConnell che a volte è elettrica, altre acustica, altre classica e ill violino di  Matt Parks, che si alternano magicamente a tessere melodie incredibili come in $50 And a Flask of Crown. Stoned è un catalogo di come si possa utilizzare una chitarra elettrica. Ci sono classiche country ballads sia elettriche She Prays to God, In Came You (che è così bella da poterla considerare già un classico country), che acustiche Drunk Again e Spartanburg Sign. Il Tex-mex di Boomerang ed anche l’outlaw di Wrong Turns che assume un sapore diverso senza steel guitar e con il violino. Questo rende The Piedmont Boys unici nel genere bagnando talvolta la loro musica anche nel fiume del bluegrass.

Se siete curiosi ora non vi resta che ascoltare The Piedmont Boys una versione pura del Country e dell’Outlaw se doveste scegliere un disco per avvicinarvi al Country per la prima volta dovete ascoltare Almost Home.

Kendall Shaffer – Rowdy to Righteous

C’è qualcosa di magico, caldo e speciale nel traditional country e che un ragazzo nato nel 1991 ne sia uno dei più interessanti interpreti regala speranze che la country music non possa mai finire nonostante i tentativi di music row di portarla su strade commerciali più rimunerative, c’è uno zoccolo duro in crescita che continua a credere nei valori della tradizione ed a portarla avanti a testa alta. Kendall Shaffer ha tatuati sulle braccia il logo di Hank Jr. (quello col simbolo della Ruger) e la Flying W di Waylon Jennings. Se a questo si aggiunge il suo EP di debutto, The Traditional Revival, dove i 5 pezzi contenuti ripropongono la sintesi di 20 anni di musica direi che le basi sono gettate. Come dicono gli americani “he cut your teeth” (trad. si è fatto le ossa) suonando negli ultimi 10 anni in honkytonk bar e piccoli locali, costruendosi davvero una carriera da solo, a 16 anni era già su un palco dove ha dovuto imparare sia ad usare il suo ampli, sia ad occuparsi delle trattative e dei compensi. Il suo gruppo al momento è formato, come lui li definisce: da “ragazzi stagionati” che potrebbero essere suo padre o suo nonno ma che gli danno una solidità di suono alla pari di quella di un musicista con 20 anni di esperienza alle spalle. Kendall è nativo della Luisiana, l’amore per la country music gli è stato instillato fin da piccolo e da quando suo padre gli insegnò i 3 accordi fondamentali per eseguire la maggior parte delle canzoni, non si è più fermato.

Da poco, dopo l’EP del 2018, è uscito con questo album Rowdy to Righteous dove è l’honkytonk a occupare gran parte della scena, ma trovano spazio i mid-tempo, gli up-tempo, le country ballads e un doveroso omaggio alla tradizione con Pancho and Lefty. Un disco che amo, cantato senza l’uso sfrontato e ridondante del tono baritonale ma con uno stile moderno che colloca melodie tradizionali in un contesto più attuale. Grazie a dischi come questo si possono portare le nuove generazioni a tornare ad apprezzare il country tradizionale e farlo tornare ad occupare il posto che più si merita, oltre che in vetta ai nostri cuori anche in vetta alle classifiche. 

Tyller Gummersall – Tyller Gummersall

Tyller è cresciuto lavorando nei ranch del Colorado sud-occidentale, ha iniziato a cantare a 8 anni, ha scritto la sua prima canzone a 9 sotto la guida del due volte campione nazionale di flat pick Gary Cook.

Un passo decisivo per la sua carriera è stato quando nel 2011 ha registrato l’EP Beer and a Rose con alcuni membri delle band di Ryan Adams e John Prine al Welcome to 1979 (uno studio di registrazione analogico a Nashville). 

L’altro è stato quello di aver incrociato sulla sua strada Lloyd Maines che gli ha prodotto il suo terzo album “Long Ride Home” e 3 canzoni su 8 di questo  suo nuovo disco che si dimostra essere un vero e proprio distillato di Country tradizionale.

You Pay for It apre il disco ed è un honky tonk al quale non si può non abbandonarsi.  Heartbreak College racconta delle tristi storie d’amore nelle quali si fa molta fatica a non farsi coinvolgere emotivamente.  What If It Was That Easy è una languida ballad da fire-camp

Why Do I Buy Whiskey è un up-tempo che abbraccia un’altro dei temi classici delle country songs… il rapporto con gli alcolici!

La musica country è musica di paese, un altro dei temi cari a questo genere sono le storie dei lavoratori dei campi, dei mandriani e dei blue-collar. Working Man descrive bene questa condizione dove il lavoro, che si svolge per sostenere la propria famiglia, è qualcosa che, nella maggior parte dei casi, non lascia spazio alla “vita”.

Fathers and Sons porta il discorso sugli affetti, altro tema fondamentale nella country music: la famiglia prima di tutto, è questo che importa veramente, il calore famigliare è in grado di riequilibrare e di mettere le cose nell’ordine di importanza. Con What It Is I Want, che è una canzone d’amore, abbiamo completato l’elenco degli argomenti che ci si aspetta di trovare in un disco country. L’album si chiude con How Did I Get Here, parla ancora ancora di famiglia, un abbraccio conclusivo a ciò che resta a tutti gli effetti la cosa più importante.

Questo è uno di quei dischi non offre nulla di nuovo nel panorama country, ma sinceramente quello che mi aspetto da un disco dei due generi sono le emozioni, le belle canzoni e l’atmosfera calda, sincera e familiare che solo il country riesce ad offrire e questo album è pieno zeppo di ti tutto questo.

Tris Munsick & the Innocents – Washakie Wind

Come sapete il mondo della musica è suddiviso nei due generi musicali: il country ed il western. Il Country appartiene alla cultura del sud-est  mentre il western è retaggio dei cowboy del nord-ovest, Tra i due quello che è rimasto più incontaminato è il genere western, nella maggior parte dei casi suonato da veri cowboy. Tris Munsick è uno di loro, cresciuto in Wyoming tra cavalli e bovini nella fattoria di famiglia è stato abituato ad ascoltare e suonare musica country fin da bambino e le sue canzoni rispecchiano proprio quello stile di vita, fatto di cose semplici, della vita, dell’amore, delle preoccupazioni, dei cavalli e delle mucche, i testi sono colmi di sincerità così come la musica che li accompagna e li sostiene.

Tris Munsick scrive le canzoni suona la chitarra e canta, Gli innocents sono Daniel Ball alla chitarra solista e cori, Tom Lulias alla steel guitar, Nick Lulias al basso e Ryan Bell alla batteria. Si sono formati nel 2012 e a Sheridan, WY. La loro è vera e genuina country music, se cercate un prodotto a D.O.C.G. questo Washakie Wind fa respirare l’aria di quei luoghi, le grandi praterie e i veri western blue sky. Cowboy ballads, barn dance e un pizzico di honky tonk, questi sono gli ingredienti principali del disco, dove tutta la band è protagonista sostenuta da una precisa base ritmica e le chitarre che si inseguono in lunghe cavalcate in ogni brano. Non manca il fiddle che regala quel calore e quell’abbraccio che solo la musica country è in grado di regalare un unico ascolto di Windows and Doors basterà per farvi innamorare perdutamente di questo suono e di questo disco, uno dei  più belli, onesti e genuini di questo 2020!

Josh Merritt – Reynolds Station

Josh Merritt è nato a Owensboro, Kentucky inizialmente, ancora quattordicenne, è stato coinvolto dal padre a suonare nella bluegrass band di famiglia, una passione che in lui non ha attecchito e solo dopo un po’ di tempo ha trovato la sua ispirazione in Jason Isbell, Todd Snider e John Anderson ed ha quindi, seguendo il loro esempio,  portato la sua musica a raccontare quello che era, così come solo un vero storyteller  riesce a fare al meglio. Josh ha fatto una lunga gavetta on the road aprendo i concerti di: Hank Williams Jr., Charlie Daniels Band, Colt Ford e tanti altri che gli hanno permesso, negli ultimi dieci anni, di farsi conoscere nel circuito musicale del sud. Nonostante abbia raggiunto i 30 anni, Reynolds Station è il suo primo album in studio, ma non è un disco qualunque, non una raccolta delle sue  migliori canzoni scritte negli ultimi 10 anni… Reynolds Station è un concept album, sentito e voluto, che racconta della piaga che infligge il Kentucky rurale, quella dell’abuso di anfetamine. Josh si mette a nudo in queste canzoni, per la maggior parte completamente autobiografiche. Ha perso sua madre in giovane età vittima delle anfetamine ed è stato cresciuto dai nonni in una fattoria nella comunità di Reynolds Station, sperimentando sulla sua stessa pelle la dipendenza dalla quale è uscito da un anno e mezzo. 

L’uso di metanfetamina è a partire dal 2000, è il più grosso problema delle aree rurali del Kentucky, in origine si produceva in casa, da poco ha fatto però la sua comparsa la Met 2.0, più forte, più economica e molto più abbondante della vecchia varietà casalinga, i piccoli spacciatori comprano metanfetamina in città più grandi come Cincinnati a circa $ 250 l’oncia e la vendono nel Kentucky rurale a $ 500.

Reynolds Station non è una lezione di vita ma è il racconto a cuore aperto della vita di Merritt, di come fosse circondato, nella maggior parte dei casi, da famiglie dipendenti da anfetamine e di come poter riuscire a fuggire da quella situazione. The high, che apre il disco, è una vera e propria testimonianza della dipendenza, della disperata ricerca di Sudafed (decongestionante nasale a base di feniletilammine e anfetamine) un “aiuto” per lasciarsi alle spalle la vita e la voglia di farla finita anche se solo per qualche istante. Racconta di disperazione, di disillusione e di pensieri di suicidio. Il disco suona meravigliosamente, le storie sono raccontate su melodie supportate da musicisti di esperienza come Robert Kerns (bassista di Sheryl Crow),  Shakey Fowles (batterista di Kid Rock) e Peter Keys (tastierista di Lynyrd Skynyrd). Un disco dove si alternano intense ballate acustiche (How Many Times, Reynolds Station) ad altre dalla grande spinta elettrica (Best of me, Run), troviamo spruzzate di rhythm and blues in Live With That, da riascoltare più volte la meravigliosa Tonya Jo (chitarra e fiddle) e l’intensa conclusiva mid-tempo Fly Away. Josh dimostra di avere un grande talento e di saper scrivere e comporre, 10 canzoni secche, dirette, ben arrangiate e prodotte da Shannon Lawson di Louisville, Kentucky, che arrivano tutte direttamente sotto pelle, sprigionando una immediata empatia grazie anche alla voce di Josh che sembra accarezzarti anche quando ti porta in territori pericolosi trasmettendo sempre sicurezza e speranza.

Merritt con questo disco spera proprio, e credo ci riesca meravigliosamente, di dare una testimonianza di speranza a quelle persone che stanno davvero cercando di uscire dalla dipendenza, un disco che è molto di più delle belle canzoni che vi sono racchiuse, un disco che racconta la pancia dell’America, quella che i media non ci raccontano, quella che forse neanche l’America stessa vuole mostrare. Quando ho ascoltato il disco mi sono commosso e continuo a farlo ogni volta, sia per la bellezza delle canzoni, sia per le storie che raccontano. Grazie a Josh Merritt che vive la musica come vorrei che davvero tutti la vivessimo.

Zephaniah OHora – Listening To The Music

Da quando Nashville è stata culturalmente legata ed associata all’industria di country music addirittura con l’appellativo di Music City è diventata meta di pellegrinaggio per chiunque nel mondo pensi di sfondare nel campo musicale. La cultura e la tradizione del sud è sicuramente la linfa per la country music ma Zephaniah OHora è la dimostrazione che non serve respirare quell’atmosfera o vivere a Nashville per fare Country Music. OHora è nativo del New Hampshire dove come tanti ha incominciato a suonare la chitarra in parrocchia durante le celebrazioni. Trasferitosi a New York all’età di 20 anni ha potuto dare sfogo alla sua passione per il Classic Country setacciando i negozi di dischi alla ricerca dei grandi classici del genere. Si esibiva Live e come DJ in un piccolo bar a Williamsburg senza ambire ad un futuro come musicista. La svolta della sua vita avvenne quando i proprietari del Bar dove lavorava ne comprarono un altro, lo Skinny Dennis (chiamato come il bassista di Guy Clark scomparso all’età di 28 anni),  per il quale svolgeva anche funzione di agente di prenotazione che diventò in poco tempo il punto di riferimento per il movimento musicale Country Newyorkese. Sette giorni su sette di spettacoli live hanno fatto crescere in lui la voglia e la passione di scrivere canzoni e pubblicare il primo disco. This Highway ha avuto un successo oltre ogni aspettativa, oltre 1.000.000 di streaming su Spotify e gli ha dato l’opportunità di aprire concerti di grandi nomi (Jim Lauderdale, Shooter Jennings…). Tutto questo un bel giorno lo ha portato ad incontrare sulla sua strada Neal Casal insieme al quale ha costituito un gruppo di musicisti con tanta storia ed esperienza alle spalle e dopo ore di registrazioni live nell’aprile del 2019 l’album era terminato, diventando purtroppo anche il testamento del talento di Neal Casal che nel mese di agosto successivo ci avrebbe lasciato. Così è nato Listening To The Music un incontro musicale tra il Backersfield Sound e l’urbanità di New York. Una Steel Guitar che traccia una linea ben precisa a partire dall’iniziale Heaven’s On the Way per portarci allo yodeling della conclusiva Time Won’t Take Its Time, il Twang che riempie il cuore, un sound che trae origine dagli anni 60, 12 canzoni che mi fanno stare bene che fanno aumentare il desiderio di essere riascoltate ancora e ancora nella morbosa ricerca di una pace ed una armonia interiore che mi è stata troppe volte portata via dagli avvenimenti che hanno colpito tutti, non solo me,  nell’ultimo anno. Il disco sembra voler raccontare di un periodo in cui tutto sembrava possibile, dove il futuro era una prospettiva allettante e non una speranza di uscirne meno malconci possibile. Listening To The Music ha il sapore delle cose genuine, di quelle fatte in casa, se ne percepiscono gli odori, i sapori, il calore, sono canzoni che mi fanno stare bene, protetto, al caldo, al sicuro, che mi danno la certezza che ascoltandole non mi possa accadere niente di male. Devo ringraziare Zephaniah OHora perché le sue canzoni mi danno conforto, già dal primo ascolto mi sono sentito accolto, abbracciato, capito, un disco fatto con amore, tanto amore per la musica Country e per le cose buone della vita. Non voglio parlare dei singoli brani, degli strumenti utilizzati, dei riferimenti del passato voglio solo dire che per apprezzare questo disco basta chiudere gli occhi, lasciare la musica scorrere dentro ed abbandonarsi totalmente alle parole ed alla melodia… e allora una inconsapevole ed illogica allegria e un benessere crescente vi avvolgerà magicamente. Meraviglioso!!!