Chris Stapleton – Starting Over

Chris Stapleton potrebbe mettere in musica le istruzioni di un qualsiasi elettrodomestico e riuscire a farne poesia. A mio parere il vero ambasciatore della musica Country nel mondo, uno di quelli che è riuscito a conquistare il favore di una larghissima ed eterogenea fascia di pubblico. Per lui hanno costruito una pagina Wikipedia solo per elencare i premi ricevuti in soli 5 anni di carriera solista effettiva che è incominciata ufficialmente nel 2015 con l’uscita del suo primo album Traveller. Prima di allora è stato membro fondatore della band bluegrass The Steeldrivers ottenendo 2 nomination ai Grammy e vanta 170 canzoni scritte per altri… e che altri… Adele, Tim McGraw, Brad Paisley, Dierks Bentley, Vince Gill, Peter Frampton, Sheryl Crow, Kenny Chesney, George Strait e Luke Bryan… per citarne solo alcuni. Chris Stapleton è un genio dei nostri giorni, supportato da una voce incredibile e da una facilità di scrittura impressionante, non ne sbaglia una! Stapleton ha scritto o co-scritto 11 delle 14 canzoni di Starting Over (tre sono cover, due di Guy Clark, Worry B Gone e Old Friends, l’altra è Joy of My Life di John Fogerty). Il disco profuma di Country, Southern Rock, Outlaw e Honky-Tonk lasciando spazio a Ballads e mid-tempo songs che fanno di questo album un piccolo capolavoro. Chris offre a Nashville quella spontaneità e quella autenticità che molti cantanti arrivati a Music City sembrano aver lasciato nei loro piccoli paesi di provenienza, abbagliati dal luccichio del facile country/pop. Stapleton ha messo dentro di tutto, così come gli è venuto naturale fare alternando sapientemente la chitarra elettrica a quella acustica costruendo una setlist perfetta che non vacilla mai ma che anzi, continua ad aprire orizzonti sempre diversi e sempre più affascinanti. 

I riferimenti sono tanti, si trovano echi di The Band in Maggie’s Song, mentre Hillbilly Blood ricorda Steve Earle e in Arkansas se chiudiamo gli occhi possiamo immaginarlo accompagnato da Allman Brothers Band

Dopo il terzo ascolto consecutivo sono giunto alla conclusione che il nativo di Lexington, Ky abbia setacciato con la sua lunga barba gli ultimi 60 anni di musica e ne abbia fatto un estratto reinventandolo ed arricchendolo con le sue straordinarie visioni musicali ed una vocalità senza eguali.

Un disco a dir poco magico, una Hogwarts della musica Americana, quella vera, quella che Chris Stapleton è riuscito a traghettare, a reinventare e a rendere ancora più che mai viva nel Terzo Millennio. Siamo vicini ai CBMA (Country Bunker Music Awards) e questo rischia sul serio di essere il più bel disco del 2020.

David Adam Byrnes – Neon Town

David ha lasciato la sua casa nell’Arkansas centrale nel 2008 all’età di 19 anni e si è trasferito a Nashville nel tentativo di sfondare nella Music City.  Firmò un contratto discografico con Better Angels, ma quando aveva pronti almeno 5 pezzi da hit il contratto è saltato. Libero dagli obblighi contrattuali ha  abbandonato lei canzoni in stile “bro country” richieste dalle esigenze di Nashville, ed è tornato al suo stile personale di honky tonk country e quando Aaron Watson gli disse che non avrebbe dovuto sprecare un altro minuto a Nashville e di andare immediatamente in Texas nel 2018, David si è trasferito nella Ft. Worth area.  Mentre era in testa alle Texas Charts, anche il rapporto con la Silverado Records iniziò a naufragare e nel febbraio del 2019, David si è ritrovato di nuovo in una battaglia legale e sarebbero passati 8 lunghi mesi prima che le radio del Texas vedessero il prossimo singolo. La stessa settimana in cui “I Can Give You One”. arriva al primo posto, la pandemia colpisce il mondo. Dopo mesi di chiusura, David ha deciso che lo spettacolo doveva continuare.”Neon Town”, la title track del nuovo album omonimo uscito il 2 ottobre è arrivato al #1 in poche settimane, incarna l’intera anima dell’albumDavid Adam Byrnes che finalmente si è guadagnato un posto di rilievo nel mondo della musica.

Jake Blocker – I Keep Forgetting

Jake Blocker è nato il 2 aprile 2004 e viene dal Texas centro-meridionale. Quando aveva otto anni suo nonno gli regalò una chitarra. A dieci anni è salito sul palco con Dale Watson e nonostante i suoi soli 16 anni la sua musica affonda le radici nella terra fertile coltivata da Hank Williams, Buck Owens e Buddy Holly.  La musica di I Keep Forgetting è perfetta, con violino e steel guitar ad accompagnare le canzoni di Jake che non inventa certamente nulla di nuovo ma propone una dose di sana e buona musica country.

Maple Run Band – Maple Run Band

I Maple Run Band sono del Vermont e sono genuini come lo stato da dove provengono e coniugano alla perfezione tradizione ed originalità. Le loro canzoni sono asciutte e vanno diritte alla meta. Il loro disco di debutto omonimo di Maple Run è stato pubblicato nell’agosto 2020. Il suono è guidato dalle armonie vocali di Trevor Crist (chitarra) e Nicole Valcour (batteria), accompagnate dal basso di John “Spence” Spencer e dalla languida chitarra di Bill Mullins. Il suono che si respira è pura americana, ed è un perfetto equilibrio di canzoni dove anche l’unica cover, “Engine Engine # 9” di Roger Miller, è fatta in Maple Run Band Style. Le canzoni sono tutte firmate da Trevor Crist nativo del Kansas, ma trapiantato nel Green Mountain State al confine col Canada.

L’ultima volta che ho pianto è stato il giorno in cui è morto Johnny Cash” così recita un verso dell’iniziale You’re Gonna Make Me Cry Again che pone l’asticella ad una considerevole altezza in fatto di composizione e strumentalità. Queen of Labrador City è country shuffle con una grande lap steel a sostenerne la melodia. Catch You Down the Lineè la classica country ballad in bilico tra The Band ed Uncle Tupelo. Keep on Truckin è tra le mie preferite, un omaggio spudorato agli anni 70 di quando il Country era ancora genuino e non contaminato dal pop. Monday Morning è una classica county-ballad composta e suonata a regola d’arte. Last of the West Kansas Cowboys richiama alla mente Neil Young, una canzone che denota un grande talento di songwriting. Borderline ha una chitarra elettrica che richiama il suono di Dukes anche se la voce di Trevor non è paragonabile al graffio di Steve Earle. Ma Bell è lenta e suadente un ricordo del cosmic country di Graham Parson. I fuochi d’artificio su Oklahoma City in Independence Day fanno insorgere reminescenze agli anni 80. Molto belli gli impasti vocali di Lost Bird sostenuta interamente da una chitarra  acustica ed il violino. You’ve Got a Warrant (Out on My Affection) chiude il disco ed è una languida ballata di quelle che si ascoltano nelle ballroom alla fine di ogni concerto che si rispetti.

Questo è un debutto davvero con i controfiocchi. Crist si è espresso sia in veste di cantautore che di perfetto frontman di una band che lo segue e lo asseconda in ogni sfumatura. Si tratta di sano country che a volte si dimentica che sapore abbia. Il Vermont non è certo il centro della musica dei due generi, ma ora von i Maple Run Band lo è diventato.

The Wildmans- The Wildmans

I Wildmans sono una string-band neo-tradiditional composta da quattro giovani dal grandissimo talento, Eli mandolino e Aila al violino sono i fratelli Wildman ai quali fanno compagnia Victor Furtado, al Banjo e Sean Newman al contrabbasso e alla voce

Provengono dalle colline di Floyd, in Virginia, nel cuore della tradizione musicale degli Appalachi.

Il gruppo è apparso da un po’ di tempo su palchi grandi e piccoli, condividendoli con talenti come Bela Fleck, The Steep Canyon Rangers, The Steel Wheels, Sierra Hull, Billy Strings… solo per citarne alcuni

Questo album propone miscele vocali e virtuosismi strumentali, che si combinano alla perfezione per creare uno dei suoni più freschi nella musica roots americana odierna posizionandosi esattamente all’incrocio tra passato e futuro.

Balza immediatamente all’orecchio come la band sia priva di chitarra presente solo nella canzone della bravissima Dori Freeman Rid My Mind.

Il disco apre con una versione completamente rivisitata di You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go di Bob Dylan regalandocene una visione musicale incredibilmente gioiosa se contrapposta all’originale. Falling Up è un brano originale di Eli Wildman. I tradizionali  Richmond, Garfield’s Blackberry Blossom e Sitting On Top of the World vengono riletti e reinventi con innovazione, freschezza e passione.

Allo stesso modo, riescono a lasciare la loro impronta anche affrontando canzoni meno conosciute, creando un improbabile mesh-up tra di Monster Ride di Furtado e Rock of Ages di Gillian Welch e David Rawlings.

I Wildmans con questo disco ci dicono che ci sono alla grande e nonostante la loro giovane età, sono riusciti ad alzare l’asticella ad un’altezza impressionante riuscendo a riscrivere pagine importanti di musica senza cadere nella scontentezza e nella ripetitività ma riuscendo a confezionarle in un suono Grassicana del terzo millennio. Direi proprio che le fondamenta sono state gettate, ora non resta che aspettare un disco di brani originali per consacrare definitivamente i ragazzi nelle alte sfere della musica bluegrass/americana.

Bowregard – Arrows

Bowregard è una string-band composta da cinque elementi che ha conquistato in brevissimo tempo il mondo bluegrass del Colorado, vincendo sia l’Ullrgrass Bluegrass Band Contest del 2018 sia il Telluride Bluegrass Band Contest del 2019 e tutto questo in meno di un anno dalla loro formazione. La loro musica è ispirata  sia dal traditional bluegrass che dal progressive bluegrass e con il loro disco di debutto, Arrows danno un tocco moderno alla musica acustica americana grazie all’utilizzo di strumenti della tradizione, disposti a semicerchio di fronte ad un unico microfono e grandi armonie vocali che esprimono la dicotomia della vita dolce ed amara  rilasciando  un suono davvero unico che li differenza da qualsiasi altra band del Colorado.

I Bowregard hanno la loro base a Boulder, in Colorado, e si sono formati quando il chitarrista Max Kabat e il banjoista James Armington incontrarono la violinista Colleen Heine e il bassista Zachary Smith, entrambi appena arrivati in Colorado dopo essersi fatti un nome nella scena musicale di Savannah, in Georgia. Il campione del Dobro contest al Rockygrass festival del 2016, Justin Konrad si è unito al gruppo subito dopo, all’inizio del 2019.

Fallen Angels è davvero un grande inizio con una cascata di note di banjo e sferzate di fiddle che accompagnano alla perfezione la storia di un uomo inseguito dai demoni del suo passato. Banjo e dobro sono l’asse portante di A Reasonable Man, la storia di John che cerca di vendetta sulla sua città che lo ha trattato male.  Sage, The Western Basil è un pezzo strumentale (il primo dei tre contenuti nel disco)  dove le doti di grandi musicisti dei Bowregard vengono messe in grande risalto. Formaldeide è una’classica cavalcata Bluegrass che ruota interamente attorno al fiddle. High on a Mountain è un classico del bluegrass di Ola Belle Reed, che qui è stato completamente reinventato in una armonia minore aggiungendo pathos in una canzone nata per armonie in maggiore. Cousin Sally Brown è ispirato dalle radici irish a cui il bluegrass deve le sue origini, tutta finemente giocata tra fiddle e dobro. Nothin’ To It  è una struggente ballata dedicata ad un padre defunto. La title track Arrows, riprende a spingere e la band si lascia andare ad innumerevoli solo di cui la musica bluegrass è ricca. Flannery’s Dream è il terzo ed ultimo brano strumentale, probabilmente quello che racconta meglio l’unione tra classic e progressive bluegrass, suono distintivo della band dove ritroviamo appieno tutte le radici appalachiane.  The Henrys è la canzone con la quale ho conosciuto Bowregard grazie al video apparso su bluegrasssituation.com , racconta una storia di gioco d’azzardo, fuga e solitudine sicuramente una grande canzone è stato proprio grazie a questo brano che ho incominciato a seguire con interesse questi cinque ragazzi sperando che arrivasse presto  quello che ora è a tutti gli effetti il loro primo disco!!!. Le storie raccontate nell’album appartengono alla tradizione delle Blue Ridge Mountain i temi sono quelli cari ad entrambi i generi: l’amore, la solitudine, la sconfitta, il moonshine, la quotidianità della società rurale. Il bluegrass è gioia, è ballo ma è anche profondamente triste, la bellezza di questa musica è proprio questa un eterno dilemma esistenziale espresso in note. io lo trovo affascinante e nello stesso tempo meraviglioso, un suono che apre l’anima, mi fa muovere e mi agita la mente. Bowregard sono tutto questo, radici nel passato e nella tradizione ed uno sguardo sul futuro ma una visione del presente. Arrows ha 11 frecce una più appuntita dell’altra… il mio consiglio è quello di lasciarvi trafiggere da tutte senza paura!!!

Caleb Caudle – Better Hurry Up

La vita di Johnny Cash lo portava ad essere quasi sempre in viaggio, ma quando tornava a casa, desiderava un posto dove potersi rilassare. Negli anni ’70 per i Cash lavoravano oltre trenta impiegati. Il suo ufficio, The House of Cash, si trovava a Hendersonville, TN, in quella che avrebbe dovuto essere la sua casa sul lago che era sempre pieno di gente, Un bel giorno Johnny, ha recintato quaranta acri di terra proprio di fronte alla sua residenza popolandolo di bufali, daini, antilopi, cervi, struzzi e cinghiali, tutti liberi di vagare liberamente nel suo zoo personale. Fatto questo, decise di costruire una baita nel mezzo del recinto, sperando di crearsi così un posto dove trovare conforto e pace, un posto dove scrivere le sue canzoni, prendersela comoda e rilassarsi. La costruzione iniziò alla fine del 1978 e terminò nel gennaio del 1979. La cabina fu realizzata con tronchi tagliati a mano, June ha poi aggiunto i suoi tocchi personali alla struttura rustica. 

La cabina era come un santuario. Johnny viveva lì, faceva colazione per sé e suo figlio John, guardava film e si occupava dei suoi lavori di pelletteria. Nella cabina è stata scritta molta storia della musica.

Tom Petty e gli Heartbreakers si fermarono li nei primi anni ’80. John Schneider il Bo di “The Dukes of Hazard” ha vissuto nella cabina per un periodo di tempo a metà degli anni ’80. Tra i visitatori: Robert Duvall, Waylon Jennings, Kris Kristofferson, Bono e Adam Clayton degli U2.

Nel 1991, la sorella di June Anita Carter si trasferì nella cabina e la fece tornare una casa. In realtà però è stata proprio Anita a registrare per la prima volta nella cabina. Nel 1992, Johnny incontrò il produttore Rick Rubin e andò in California a lavorare con lui per registrare il primo album di della serie American Recordings, tutti i brani sono stati registrati nella casa di Rubin ma un paio di tracce furono registrate proprio nella cabina, con un registratore a nastro e dei microfoni standard. 

La magia della musica della cabina ebbe origine da lì.

A partire da American Recordings III, Solitary Man, Johnny ha continuato a registrare gran parte della serie American Recordings presso la cabina. June Carter Cash ha registrato lì gli ultimi due album della sua vita,  John Carter Cash ha lavorato intensamente con i suoi genitori e per la loro musica.

Nell’estate del 2003, l’ultima registrazione di Johnny, pochi giorni prima della sua morte, è stata nella cabina.

Dopo la scomparsa di Johnny e June, John Carter continuò a registrare e produrre musica in cabina. Il Cash Cabin Studio, come è ora noto, è cambiato nel corso degli anni, anche se l’anima di quel luogo è rimasta invariata.

Ora il Cash Cabin Studio è uno spazio di registrazione privato, di proprietà e gestito da John Carter e sua moglie Ana Cristina Cash.

Nel 2020 Caleb Caudle voleva un suono originale per il suo nuovo album. Ha riunito così prestigiosi musicisti vincitori di svariati Grammy per cercarlo e trovarlo nella Cash Cabin.

Better Hurry Up, è il suo ottavo album in studio. John Jackson dei Jayhawks ha prodotto il disco, gli ospiti includono Courtney Marie Andrews, Elizabeth Cook, Gary Louris e John Paul White mentre la band comprende Mickey Raphael all’armonica (Willie Nelson), Dennis Crouch al basso (Elton John, Leon Russell), Fred Eltringham alla batteria (Willie Nelson, Sheryl Crow), Russ Pahl alla pedal steel (Kacey Musgraves , Dan Auerbach), Laur Joamets alla chitarra (Sturgill Simpson, Drivin ‘N Cryin’) e, alle tastiere, Pat Sansone (Wilco) e Rhett Huffman (American Aquarium).

Il disco è stato registrato in pochissimi giorni, questo conferisce all’album una atmosfera ed un suono rilassati e naturali. 

Caudle è cresciuto nelle campagne fuori Winston-Salem in NC, ai piedi degli Appalachi, dove trascorreva molto tempo girovagando nei boschi ad inventare canzoni. Il suo insegnante d’arte al liceo, Phil Jones, ha contribuito ad alimentare la passione di Caudle per la musica permettendogli di portare la chitarra in classe per esercitarsi. Il tema della libertà è il filo conduttore di tutto l’album dove ci ricorda che se vogliamo i diritti e i privilegi che pensiamo di avere, è meglio sbrigarci e assicurarci di ottenerli. Tocca anche la sua vita esaminando gli errori del passato e le modifiche che avrebbe voluto poter fare ed inserendo alcune frecciatine alla politica. 

Lo stile dei suoi primi dischi era quello scarno tipico di un cantautore, Crushed Coins di due anni fa era invece un disco di Americana. Better Hurry Up si colloca esattamente al centro risultando essere a mio parere, il suo miglior disco fino ad oggi. La capacità di Caudle di dipingere dei quadri sonori è innata, la sua voce “terrosa” rende tutto ancora più graffiante ed accattivante.

Si spazia dai tratteggi funky e soul della title-track, al blues di Call It a Day passando per il country di Regular Riot… temi fondamentali che si ripetono attraversando tutte le 11 canzoni con una semplicità e naturalezza disarmante. I nostri sembrano così rapiti dalla magia della cabina che ad ascoltarli sembra proprio di trovarsi lì in mezzo a loro, come un gruppo di amici che si ritrova a suonare sul front porch di quel luogo incantato chiamato Cash Cabin!

Gethen Jenkins – Western Gold

Questa è ancora la musica che ascolto oggi, è la musica con cui sono cresciuto e nonostante tutto quello che ho ascoltato negli anni, questa è la musica su cui torno sempre perché è l’unica a farmi sentire bene!

Gethen Jenkins è originario del West Virginia ma è cresciuto in Alaska. Ha prestato servizio nel corpo dei Marines per otto anni in Iraq. Mentre era impegnato nelle zone di guerra maturò la decisione che, una volta ritornato in patria, avrebbe convertito la sua passione per la musica country in una professione. Rimesso piede sul suolo statunitense, ha scelto di stabilire la sua base operativa in south California.
Gethen non è certamente nuovo sulla scena. Ha sulle spalle più di 1.000 tra concerti e opening-act, ma Western Gold è il suo vero e proprio esordio discografico grazie al quale appone di diritto il suo nome sulla bacheca del movimento dell’outlaw-country.
Jenkins aveva pubblicato un EP nel 2017 intitolato Where The Honky Tonk Belongs, un disco ancora un po’ acerbo ma un degno aperitivo, di ciò che troviamo su Western Gold.
In tanti negli anni hanno decretato più volte la definitiva scomparsa dell’outlaw-country ma per nostra fortuna, ci sono ancora tanti musicisti che, con mia immensa soddisfazione, portano avanti questa musica, costruita principalmente su canzoni sul bere, sulle sconfitte e sul dolore, temi tipici di una società puritana dove commetti un peccato e l’istante dopo ti senti colpevole e cerchi di dimenticare scolando una bottiglia di whiskey. Queste sono le storie nascoste sotto la barba di Gethen, canzoni per anime inquiete che non riescono a trovare pace. Ascoltare la canzone di apertura Bottle in My Hand mi riporta immediatamente il cuore e la mente a Waylon Jennings. in Heartache Time canta ”Non riesco a sentire il mio cuore. Non riesco a trovare la mia mente” mentre in Whiskey Bound dimostra come il whiskey sia una ottima soluzione per scacciare i problemi almeno fino a quando non finiscono gli effetti e tutto torna prepotentemente a galla. In Restless Ways tratta della vita sulla strada. e canta: “Non riesco a trovare la fine dei miei modi irrequieti”.
Western Gold è un grande disco, impreziosito dai bellissimi arrangiamenti e dall’eccellente produzione di Vance Powell, sei volte vincitore del Grammy, conosciuto dai fans dei due generi per aver lavorato come ingegnere del suono nel tour di Chris Stapleton.
Gethen Jenkins ha scritto o co-firmato tutte le canzoni del disco. Chris Powell alla batteria, Leroy Powell allla chitarra, David Gilliard al basso, Michael Webb alla tastiera e Dan Dugmore alla steel, sono un imponente muro sonoro. Western Gold è proprio un gran bel disco, ha quel suono autentico delle radici ed ha legami sia con il sud degli Appalachi, sia con il profondo west. Un album come Western Gold di Gethen Jenkins non è solo uno dei miei album preferiti, ma mi ha fatto scoprire anche uno dei miei artisti preferiti. 

Jordan Miller Sound – Mountain Side River Dream

Jordan è nato in una piccola città rurale a sud di Tallahassee, in Florida, è stato cresciuto da genitori divorziati e questo ha ha contribuito a farlo sentire circondato dalla famiglia allargata, dalla nonna paterna e dai nonni materni che hanno contribuito a fargli conoscere la musica country. Fin dalla sua prima infanzia suo nonno, che era un collaudatore di banjo, ogni domenica mattina prima della messa, suonava Foggy Mountain Breakdown o Blue Moon of Kentucky. Il banjo è parte fondamentale delle sue canzoni come in quella di apertura The River Bend. A 24 anni, Jordan è stato in carcere, dopo aver perso, prima lo zio, che aveva solo 3 anni più di lui (incidente sul lavoro) e due anni dopo, il cugino di 2 anni più giovane (incidente stradale).

Alla fine del 2016, Jordan si è sposato, continuando a vivere nello stesso posto in cui era nato, questo lo faceva sentire ii gabbia così un giorno si è svegliato e ha detto a sua moglie che era arrivato il momento di cambiare aria, hanno venduto la casa e si sono trasferiti a Nashville dove ha pubblicato il suo primo EP intitolato Sounds composto da 4 brani che aveva scritto nel corso degli anni. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo progetto integrale, Mountain Side River Dream.

Con un’anima da Hobo e un cuore appesantito dal dolore, Jordan Miller, oramai alla soglia dei 30 anni, ha tante storie da raccontare e lo fa con uno stile da storytelling sulla tradizione della musica dei cantautori del Tennessee, portando l’ascoltatore in un viaggio che potrebbe non aver ancora viaggiato.

La melodia è appoggiata sulla sua chitarra, e prende vita grazie agli Highway Natives, la band che ha costituito nel 2018 insieme a  Brandon Moore. Non solo country, oltre al banjo, al violino e ci sono chitarre elettriche e una sezione ritmica pulsante che porta il suono di Wrong Things sul pianeta “Americana” lasciando però la linea melodica legata sempre allo spirito del cantautore. Un disco fatto di storie che toccano il cuore e canzoni che riscaldano l’anima, ascoltare Any Ol Sky o Texas and Me regala un incredibile senso di libertà è come librarsi liberi in un immenso cielo blù.

Hill Country – Hill Country

Nella lunga tradizione dei “supergruppi texani”, dopo il recente esordio di The Panehandlers un altra band di grandi musicisti si affaccia sulla scena musicale country del texas: sono gli Hill Country

Il frontman Zane Williams, è una vecchia conoscenza del Country Bunker con ben 7 album da solista alle sue spalle che ad un certo punto della sua carriera, ha deciso che fosse arrivato il momento di espandere il proprio spettro musicale. Ha chiamato così all’appello il collega Paul Eason anch’egli con 3 album all’attivo e un passato da chitarrista solista per la leggenda del Texas-Country Kevin Fowler, che probabilmente, stanco di fare il side-man ha subito accettato l’idea di poter far parte di un progetto che lo vedeva eletto tra i protagonisti. Alla batteria è stato interpellato Lyndon Hughes, in grado di dare oltre alla parte ritmica una voce in più al gruppo e mettere al servizio della band la la sua esperienza di ingegneria e produzione maturata negli anni avendo lavorato tra gli altri con artisti come: Cody Johnson, Sundance Head, Roger Creager 

Con gli inserimenti del polistrumentista e cantante Andy Rogers (banjo, dobro, mandolino e chitarra) e di Sean Rodriguez al basso e alla voce, l’esclusiva miscela vocale della band si è solidificata e concretizzata dopo una sola jam session estemporanea in una sala prove presa in affitto dove hanno capito immediatamente che la chimica tra di loro era perfetta.

Il sound abbraccia entrambi i generi musicali del country, il bluegrass, il folk e il rock acustico. Una delle meraviglie del disco è ascoltare le armonie delle 5 voci che si intrecciano, si sovrappongono, si amalgamano alla perfezione. La qualità del  songwriting e il talento musicale sembra emergere senza alcun sforzo, con semplicità, naturalezza e potenza come fossero una band che ha calcato palchi per 20 anni ma non è stato affatto così visto che il loro primo incontro è stato proprio in quella Jam nell’estate del 2019. Le alchimie musicali, come quelle nella vita quotidiana a volte emergono per caso, probabilmente è la fiducia, il sentirsi accolti e rispettati che fa si che una band possa tirare fuori il meglio sia individualmente che singolarmente esplodendo un un suono così perfetto e compatto che stupisce fin dal primo ascolto.

Il disco, registrato tra Austin e Houston durante un periodo di undici mesi, ha visto la luce nel Maggio 2020. Hill Country può essere una regione collinare del Texas, delle colline del Tennessee, della California, del North Carolina o dell’Alabama, il termine “Hill Country” è universale come la musica contenuta all’interno del disco che ci porta in un viaggio attraverso dodici brani (tutti originali arrangiati, prodotti ed eseguiti dagli stessi membri della band) che hanno il sapore di Band che hanno fatto la storia della musica. River Roll con le sue tre chitarre acustiche e ricorda gli anni ’70 di The Band e James Taylor. The Eagle è un classico sostenuto da toccanti armonie vocali su un letto di dobro, mandolino e chitarra. Palomino Gold (tra le mie preferite) è una indolente ballata che evoca enormi spazi e cieli blu nei quali perdersi con l’immaginazione sulle note di una liquida steel gustar che scorre lenta, come un fiume, lungo tutta la canzone. Work to Do e Company Man portano i sapori e i colori del tipico texas-country la prima con quella chitarra elettrica che si intreccia col dobro si concentra sul sound degli ’80, la seconda, più moderna, abbraccia il mood delle nuove generazioni. Atmosfere tex-mex per Adios mentre la successiva Evergreen è una canzone tipicamente bluegrass ma con l’aggiunta della batteria. Hey Susanna ha una connotazione alt-country chitarra con un filo di distorsore ma sempre con le armonie vocali ad impreziosire il tutto. Dixie Darlin racconta di un amore perduto nello stile e incedere più classico del troubadour. The Last Dance è uno di quei lenti da ballroom imprescindibili. In Janie Lynn sono ancora le voci le protagoniste assolute fino all’arrivo del banjo che si lancia in una lunga cavalcata portandoci nel profondo west! La conclusiva Somewhere Down the Road è pura “americana” e racchiude il messaggio che la Band è legata alla storia, alle tradizioni qualunque esse siano purché oneste e genuine. I territori geografici e musicali esplorati nel disco sono tanti ma tutti hanno una radice comune, un profondo amore per la loro terra e la loro musica che più che mai in questo caso, sento fortemente anche mia.