Roger Street Freidman – Rise

Adoro le storie di vita e di musica, di come gli eventi possano condurre alle più incredibili scelte per ogni qualsiasi motivo, Roger Street Freidman è una di quelle storie, ha 54 anni, è marito e padre di due figli, da bambino suonava musica e gli piaceva registrare le canzoni in un piccolo studio che si era costruito con i pochi strumenti a disposizione. Una passione accantonata perché fino al 2014, ha lavorato nel settore della vendita al dettaglio insieme allo zio per circa 25 anni.  Fu solo dopo la perdita di suo padre nel 2004 e di sua madre nel 2006 e successiva nascita di sua figlia sempre nel 2006, che l’ispirazione per scrivere testi e comporre musica ritornò prepotentemente dentro di lui. Arrivato ai 50 anni, dopo aver perso i genitori si incomincia a vedere che anche i propri amici e gli affetti costruiti potrebbero lasciare questo mondo da un momento all’altro e ci si rende conto di non avere più tanto tempo da perdere. In seguito a questi pensieri, Friedman ha preso la coraggiosa decisione di lasciare il lavoro per dedicarsi alla musica a tempo pieno.

Arrivò quindi il debutto del 2014 The Waiting Sky seguito nel 2017 da Shoot the Moon. In questo suo terzo album, Rise, prodotto dal vincitore del Grammy e collaboratore di lunga data di Levon Helm, Larry Campbell, è tornato più appassionato e impegnato che mai. Le strade di e Campbell si sono incrociate quando quest’ultimo ha suonato in The Waiting Sky. Alla fine di una sessione di prove, mentre Friedman lo stava aiutando a trasportare i suoi strumenti in macchina, Campbell gli disse che scriveva davvero delle belle canzoni e che aveva qualcosa da dire col cuore. L’incoraggiamento di Campbell lo colpì a tal punto che i due rimasero in contatto, così dopo aver ascoltato le oltre 30 canzoni che gli aveva inviato, Campbell accettò di produrre RISE.

In queste 12 canzoni di Rise, 7 delle quali scritte in collaborazione con artisti della scena di Nashville (Mike Gray, Steve Lester, Michael August, Matt Willis, Mark Baxter, Hunter Tynan Davis, Elliot Bronson, Alice Lankford e Jimbo Martin e Campbeli), Friedman cerca di andare ancora più in profondità, cercando davvero di arrivare al nocciolo della questione. Le canzoni arrivano direttamente dalla pancia e dal cuore e ci portano ad empatizzare completamente con i loro personaggi, sia che si tratti del veterano del Vietnam di The War is Already Over, sia delle domande della casalinga sulla sua vita in Over and Over. 

In tutto l’album c’è un realismo disarmante, una immediatezza e una urgenza di domande e di risposte, le canzoni sono prive di arrangiamenti sofisticati e vanno dirette al suono americana, la volontà dell’artista è stata quella di portare le canzoni a  mettere in risalto il più possibile il songwriting, lasciando ampi spazi alle storie ed alle emozioni facendo in modo che la musica facesse da colonna sonora a tutto.

Rise alla fine non è altro che una dichiarazione di intenti di un cantautore che sembra essere un a pietra miliare della sua carriera… almeno fino al prossimo disco perché Friedman dice di avere già pronti altri due album.

Fireside Collective – Elements

Asheville è una città incastonata nelle Blue Ridge Mountains al confine tra Tennessee e North Carolina dove si è sempre mantenuta viva una scena musicale underground,  ma è solo negli ultimi 20 anni che è salita alla ribalta come una vera città musicale alla pari di Austin e Nashville. 

La città è piena di locali, di club dal The Orange Peel, alla Grey Eagle, all’Asheville Music Hall e costellata di bar, brewery e pub nei quali la gente si assiepa all’interno e sul marciapiede per ascoltare musica live e bere una birra. I buskers occupano ogni angolo delle delle strade. Ci sono echi di rock, di hip-hop e di elettronica ma sono l’Americana e il Bluegrass i due generi che regnano sovrani. 

Asheville è una città culturalmente viva e fatta da persone che l’hanno resa bella e vivibile. È un luogo in cui hippies, freaks e ambientalisti convinti, hanno trovato il luogo adatto in cui vivere ascoltando la musica bluegrass.

Asheville ospita anche lo studio Echo Mountain Recording, costruito nel 2003 da Steve Wilmans che, lasciò la California per trasferirsi sulle montagne del West North Carolina e realizzare lì il suo studio dei sogni. Ha trovato il posto perfetto in una vecchia chiesa poco fuori dal centro di Asheville dove ha allestito uno studio di registrazione all’avanguardia preservando quanto più possibile l’arredamento originale. L’acustica incontaminata di Echo Mountain lo ha reso uno studio di registrazione tra i più desiderati, tra i gruppi e i cantanti Statunitensi, questa enorme richiesta ha portato ovviamente a tempi di attesa lunghissimi. War on Drugs, White Denim, Zac Brown Band, Blackberry Smoke, Turnpike Troubadours e Dierks Bentley sono tra quelli che insieme alle band del luogo: Steep Canyon Rangers, The Avett Brothers, Town Mountain, River Whyless, Rising Appalachia e Marcus King Band e naturalmente il sindaco onorario di Asheville, Warren Haynes, hanno registrato lì almeno un disco.

Da Asheville provengono i Fireside Collective una string-band di 5 elementi emersa con prepotenza cinque anni fa vincendo il Band Contest del 2016 al MerleFest. Definire il loro sound Progressive Bluegrass è limitativo, i 5 ragazzi uniscono la caratteristica strumentazione bluegrass e le loro armonie vocali al folk, al blues, al funk e per creare un suono distintivo proprio.

Ogni membro: Joe Cicero (chitarra); Alex Genova (banjo); Jesse Iaquinto (mandolino); Tommy Maher (chitarra resofonica) e Carson White (contrabbasso) porta un contributo unico. La loro musica può apparire sia molto tradizionale quanto progressive, Quello che stanno facendo è semplicemente portare il classico suono del bluegrass a esplorare nuovi territori musicali, 

Bluegrass, Newgrass, o folk progressive” comunque la si chiami, la musica dei Fireside Collective è una esplosione di suoni e di colori capace di coinvolgere e trascinare chiunque se ne avvicini.

La band ha esordito nel 2014 con Shadows and Dreams. Nel 2017 hanno pubblicato il loro secondo album in studio, Life Between the Lines grazie al quale hanno ottenuto una nomination per l’IBMA momentum award come migliore band.

Nel 2020 esce Elements, prodotto da Travis Book (Infamous Stringdusters), che conferma quel suono particolare prerogativa esclusiva dei Fireside Collective.

Si dice che il modo migliore per testare l’efficacia della musica bluegrass sia suonarla dal vivo. Raramente si riesce a trasportare l’energia propria di un live all’interno di un album, registrato in studio. Elements, ricrea quell’intensità e quella sensazione di pressione sonora che arriva dal palco durante un concerto live che colpisce diretta allo stomaco. L’album si apre proprio con il momento che precede una qualunque esibizione live… Intro è l’accordatura degli strumenti. L’album inizia quindi dalla seconda traccia Winding Road tipicamente bluegrass che ha il merito, come gran parte delle canzoni contenute nel disco, di far venire voglia di ballare e dimenticare  le preoccupazioni. Tutti i brani esaltano le doti vocali e strumentali di tutti e 5 i componenti della band che si alternano alla guida in impressionanti jam offrendo una serie incredibile di cambi di tempo, di ritmo e di dinamica. Elements rimane un disco bluegrass ma è il bluegrass di Fireside Collective che aggiungono la loro visione moderna a questo genere che grazie anche a loro riesce ad abbracciare  un pubblico sempre
più ampio ed eterogeneo.

Alex Dunn – Scattered Poems

Seattle, è salita alle cronache negli anni ’90 per essere stata il cuore del movimento Grunge e quindi potrebbe non essere la prima città che viene in mente parlando di country. Il 17 luglio 1897, la nave a vapore Portland attraccò a Seattle da St Michael, in Alaska, trasportando 68 cercatori che a detta dei giornali del tempo, trasportavano “una tonnellata d’oro“. In breve a quelle poche centinaia di cercatori che salpavano da Seattle ogni settimana, se ne aggiunsero migliaia provenienti da ogni luogo degli States, tutti diretti lungo un remoto fiume nello Yukon  (oggi territorio del Canada). La corsa all’oro del Klondike era iniziata e con essa arrivarono a Seattle un melting-pot di culture, di tradizioni e di musica e con esse il country!

Costretto ad una riorganizzazione forzata di Music (il programma di Apple che uso da 14 anni per acquistare e programmare musica) che mi sta obbligando a ricostruire metà della mia libreria andata perduta di punto in bianco per non so quale motivo,  fortuna ha voluto che mi tornasse in mano per caso Scattered Poems di Alex Dunn del 2018.

Dunn ha studiato violoncello e flauto alle elementari, al college suonava il basso in una band con il batterista Alex Westcoat, Sam Esecson (produttore e ingegnere di Scattered Poems) e Colby Sander (dobro, chitarra elettrica su Scattered Poems). Terminati gli studi, Dunn si è imbarcato per 10 anni su un peschereccio commerciale di salmoni nel mare dell’Alaska. 

Per riempire le lunghe giornate di viaggio, ha imparato a suonare la chitarra, lo faceva seduto su un’ancora mentre navigava in aree remote del sud-est dell’Alaska, la maggior parte delle canzoni di Scattered Poems sono state quindi scritte a bordo della nave negli ultimi sei anni.

Quando rientrava in porto correva nello studio dell’amico Sam Esecson  situato in un seminterrato nel quartiere di Ballard (il Fishermen’s Terminal nell’Interbay di Ballard che ospita centinaia di barche da pesca compresa quella nella quale Dunn era parte dell’equipaggio).

Scattered Poems, come racconta Dunn è un disco d’’amore”, amore per la madre, per la nonna, amore per la famiglia, amore per gli amanti, amore non corrisposto e amore puramente per amore. Sulla sua stracca per reggere la chitarra è riportata una frase di sua madre “amare ed essere amati è tutto ciò che c’è veramente 

Scattered Poems è un disco senza tempo, le sue canzoni potrebbero sembrare quelle tramandate da generazioni dai tempi della Gold Rush ai giorni nostri, la scrittura è semplice e proprio per questo mi affascina per la qualità e lo stile compositivo proprio della grande tradizione di musica Americana. Scattered Poems è un disco meraviglioso a partire da Colorado Lines una storia di amore, di desiderio e di redenzione dove si respira la nostalgia sulla linea musicale imposta dal violino e dal banjo sostenuti da un incalzante rullante che ricrea molto bene il senso del viaggio. Dear Mama evoca spazi infiniti, quelli che Alex trova in Colorado e Wyoming, una classica western song con un dobro a tracciarne le linee.  Scattered Poems sostenuta dal banjo che trova conforto nel fiddle è vagamente bluegrass. Will you be  incrocia l honky tonk e racconta delle sensazioni che si provano per un amore non corrisposto che trovano corrispondenza nella languida splendida pedal steel. Rattlesnake Bush è giocata tutta sulle chitarre alza il ritmo ma il sapore della country-ballad rimane. East Of The Hills presenta tutti gli elementi di una grande western-song, pedal steel, fiddle e la voce da troubadour di Alex. Norma è un up-tempo. One Step Away ha il sapore del country californiano con una buona dose di Bakersfield sound. Le ultime 4 canzoni sono intime ballate, che hanno come atto finale la toccante This All Goes Away.

Non credo si possa pretendere di più da un disco, Scattered Poems arriva dritto al cuore, 13 meravigliose canzoni scritte con l’animo puro di un grande cantautore dei tempi moderni che raccoglie l’eredità del passato, la sua storia, i sentimenti riproponendoli in maniera disarmante mettendo allo scoperto la sua grande anima regalandoci boccate d’aria salmastra,  uno sguardo ai grandi cieli blu e sconfinate praterie nelle quali perdersi con le note di questo strepitoso disco. Ascoltatelo e non potrete più farne a meno.

Barbaro – Dressed in Roses

Barbaro è una string band che suona insieme da meno di due anni ma che in questo breve lasso di tempo si è già ricavata un posto di rilievo nella scena bluegrass del Midwest muovendosi oltre i limiti del genere e mescolando al loro suono sonorità newgrass, country, jazz e irish rappresentando alla perfezione una precisa identità folk americana. 

La scena musicale di Minneapolis è storicamente legata al punk rock (Husker Dü, The Replacements, Soul Asylum) ma nello stato c’è anche una forte identità folk data forse anche dal fatto che sia il luogo di nascita di Bob Dylan. Finita quindi l’era delle hardcore band, che hanno visto il tramonto all’alba degli anni ’90, è riemerso lo spirito folk/old-time che ha portato una vera rinascita del bluegrass come dimostrano i 1000 e più associati a www.minnesotabluegrass.org.

il 2018 è stato un grande anno per il quartetto di Minneapolis-Winona. Ha vinto il John Hartford Memorial Festival Band Contest e il Minnesota Bluegrass Roots Band Contest e pubblicato il loro primo EP. Il loro suono è particolare e si distingue nella comunità bluegrass perché ogni componente della band ha portato tutta la propria gamma di influenze musicali e la magia e nonostante questo il suono che ne scaturisce è sorprendente perché decreta una incredibile unità e coesione collettiva.

Dressed In Roses contiene 10 canzoni, che includono, assoli di violino, cavalcate di banjo e una voglia incontrollabile di giocare con i suoni dai più ricercati ai più classici.

Un gioiello dell’album è la canzone sul purosangue Barbaro che nel 2006, due settimane dopo aver vinto  il Kentucky Derby si ruppe una zampa. È una storia tanto bella e commovente quanto tragica sulla prematura perdita di una vita e risulta essere un suggerimento a vivere la vita al massimo e rendere ogni occasione importante.

Mississippi Thunder Speedway è l’unica traccia strumentale dell’album, il titolo annuncia la corsa tra il basso di Jason, il violino di Rachel, il banjo di Isaac e la chitarra di Kyle Shelstad (ex Kitchen Dwellers) che viaggiano a velocità davvero ultrasoniche.

Le canzoni del disco si muovono in tante direzioni diverse, c’è un’idea principale sulla quale però la melodia cambia in corsa, si incrocia, ritorna, rimbalza, riparte, abbraccia note e a volte ritmi non propriamente bluegrass ma alla fine arriva dove si era pensato dovesse arrivare ed è qui tutta la bellezza e la freschezza del suono di Barbaro. Ogni loro canzone è un viaggio, una scoperta, una sorpresa dopo l’altra, è come se invece di imboccare l’autostrada per arrivare diretti all’arrivo si percorressero strade secondarie, attraversando la campagna, su e giù per le colline, passando per i vicoli cittadini, fino ad arrivare al mare. Una esplosione di musica e di suoni, un disco da avere e soprattutto da ascoltare… e non siamo che all’inizio!!!

Wade Bowen & Randy Rogers – Hold My Beer vol. 2

Wade Bowen e Randy Rogers sono due affermati musicisti di Texas Country, da tempo sul mercato, il primo come solista il secondo come Randy Rogers Band. Nel 2015 hanno a sorpresa pubblicato insieme un album intitolato Hold My Beer, costituito da canzoni raccolte e messe insieme un po’ per scherzo, un po’ per gioco ma ugualmente sorprendenti, per quanto presentassero alti livelli di qualità,  all’uscita di quel disco ha fatto seguito un tour acustico in Texas. Hold my beer è un’espressione gergale rivolta ad una persona prima chequesta faccia qualcosa di insensato o di stupido. Con l’uscita di questo Hold My Beer vol. 2 scopriamo che questo loro progetto “parallelo” non è più un gioco, dopo l’accoglienza positiva ricevuta dal primo disco, Randy e Wade hanno preso la cosa veramente sul serio, lavorando su un preciso progetto, scrivendo canzoni per l’occasione insieme con Jon Randall & Jim Beavers e mettendo alla produzione del disco nientepopòdimenoche Mr. Lloyd Maines.

Hold My Beer Vol. 2 è una dichiarazione d’amore per la country music è un  un album di musica country che parla di musica country. Rhinestoned è un inno che parla sulla fortuna di essere cresciuti ascoltando il classic country. Speak To Me Jukebox snocciola una serie di titoli di vecchi classici del country, This Ain’t My Town parla di come il mondo in continua evoluzione ci derubi di continuo di ciò che era prezioso nel passato, inclusa la musica country e Mi Amigo è una fantastica collaborazione con Asleep at the Wheel.

Rodeo Clown è il primo singolo e video del disco ma è Ode to Ben Dorcy (Lovey’s Song) il punto di forza dell’album.

Wade e Randy non avrebbero mai immaginato di vedere i loro nomi accomunati a quello di Waylon Jennings, ma nella traccia 6 avviene l’impossibile. Ode to Ben Dorcy (Lovey’s Song), è una canzone scritta da Jennings mai  registrata ufficialmente, la voce di Waylon, è presa dal worktape della canzone che aveva lo stesso Dorcy.

Dorcy, è conosciuto come Il più vecchio roadie del mondo e soprannominato Lovey, ha incominciato il suo lavoro verso il 1950 era amato da tutti i più grandi nomi della musica country (Merle Haggard, Johnny Cash, Elvis Presley e dozzine di altri artisti importanti, nonché anche cameriere personale di John Wayne) tutti, compresi Bowen e Rogers, lo consideravano prima di tutto un grande amico.

L’esistenza di Ode to Ben Dorcy era nota tra gli amici e i conoscenti di Dorcy, che amava suonare sempre quella canzone per le persone cheincontrava, Ben adorava quella canzone e ne andava profondamente orgoglioso!  Rogers, racconta che quando lui e Bowen hanno iniziato a lavorare su Hold My Beer, Vol. 2, hanno chiamato Shooter Jennings per ottenere il permesso di rilasciare ufficialmente “Lovey’s Song”.

L’approvazione è arrivata da Shooter e da Jessi Colter e lo stesso Shooter è stato invitato a cantare. La versione finale di “Ode to Ben Dorcy” ha ottenuto immediatamente l’approvazione della famiglia Jennings, e a registrazione completata Shooter ha detto: “A mio padre sarebbe piaciuta davvero molto,”

Dorcy sapeva che Bowen e Rogers stavano pensando di registrare la canzone e ne era veramente felice ma purtroppo nel 2017, all’età di 92 anni, è morto prima di poterla ascoltare.

L’atmosfera che si respira ascoltando Hold My Beer Vol. 2, riporta, Randy Rogers e Wade Bowen a interpretare la grande musica country del Texas, preservandone le tradizioni e lasciandole in eredità alle una nuove generazioni. Il disco è tecnicamente perfetto grandi interpretazioni, belle le voci, ottima strumentazione e in più la grande produzione in studio di Lloyd Maines, fanno di questo disco una vera testimonianza che i due generi hanno ancora il loro fascino ed il loro immenso valore.

Mike Teardrop Trio – Till the Down

Il mercato del country e del rockabilly è ampiamente diffuso al nord dell’Europa (diciamo pure ovunque in europa tranne che nel sud del continente ed in Francia). L’etichetta svedese Enviken pubblica regolarmente album di rock & roll e rockabilly proprio come in questo caso: Till the Down degli svedesi Mike Teardrop Trio, composti da Mike Teardrop (voce, basso), Rasmus Andersson (voce, chitarra) e Henrik Ulander (batteria). 

Con uno slap-bass alla base del loro suono, grandi armonie con l’aggiunta di un pizzico di buona musica country, hanno dato origine ad un suono difficile da trovare in questo terzo millennio andando così a riempire un buco importante nel panorama musicale odierno.

Chiamano la loro musica countryfied rockabilly. 

Sul loro nuovo disco ritroviamo quel suono autentico degli anni ’50 già presente  in Hangin Around, (il loro album di debutto del 2017) semplice, accattivante e diretto, senza fronzoli integrando elementi propri della country music al rockabilly. 

Hanno scelto 9 canzoni di artisti classici degli anni ’50 e di band contemporanee come The Barnshakers, Di Maggio Bros e The Nu-Niles, unendo alla setlist 5 loro canzoni originali. Basta ascoltare il brano che apre il disco, Sad & Blue, che affronta il tema del cowboy solitario, per rendersi conto immediatamente di essere di fronte ad un perfetto mix di country e rockabilly.

Nel disco ci sono echi di Buddy Holly, The Blasters e BR5-49, il Country di Countrty Boy e Twenty-One, l’up-tempo di Good For Nothing, il rockabilly puro di That Extra Mile e For Rent, il mid-tempo di Two Timing Mama, le classiche Someone To Hold e Mr. Jukebox dove compare il piano di Stefan Nykvist. Il disco si concludere con l’honky-tonk di Till The Dawn. Questo più che un album è una enciclopedia di 70 anni di musica, di quella nata ai ridosso dei ’50 che si rivolge agli amanti sia del Rockabilly (quello originale) che del Country e che renderà sicuramente piacevole l’ascolto sia chi la musica ama ballarla sia a chi ama ascoltarla.

Ruben Levi Rhodes – Abbeville

Mia moglie dice sempre, ascolta musicisti che neanche i parenti più stretti sanno che fanno musica… beh Ruben Levi Rhodes (aka Ruben Rivera) è uno di quei casi dove davvero non sono riuscito a sapere nulla di lui se non che è un cantante originario della California meridionale, nella sua musica ha mescolato perfettamente lo spirito del Rock’n’Roll la con l’eredità del country e dell’Honky Tonk. Abbeville è il suo disco di esordio e porta con sé i suoni di un glorioso passato dove i “solo” e i riff della chitarra elettrica trovano il loro spazio. Sunday Song e White Line Flyin sono una doppietta iniziale che fa riconciliare con il mondo, una ballad mid-tempo la prima e un r’n’r incendiario la seconda. Lonesome Is Never Alone ci porta al confine del messico dove una languida steel guitar si mescola a ritmi associabili ai primi Los Lobos mentre Avery è una classica country ballad dove il fiddle e l’armonica si rincorrono attorcigliati dal piano e dall’immancabile steel. I temi del disco sono sviscerati in queste prime canzoni per trovare in Talkin Cannonball Blues un up-tempo che richiama molto il Dylan di The Basement Tapes. Jack of Diamonds è la canzone più lenta ed evocativa del disco. Country-Folk-Rock sono i tre ingredienti fondamentali di Abbeville, 14 canzoni da assaporare al caldo sole di questa primavera sognando viaggi, odori, sapori e panorami che questo disco ci regala in un momento dove i sogni si mescolano alla realtà e Abbeville è un’amaca dove possiamo liberamente lasciarci andare abbandonandoci e lasciandoci cullare ed abbracciare dalle emozioni che rilascia. 

The Family Sowell – Same Kind of Different

La musica Country e Bluegrass è tradizionalmente ricca di famiglie che si costituiscono in una band, la più conosciuta è sicuramente The Carter Family, ma in 150 anni si sono susseguite stirpi che portano avanti i valori della famiglia, delle radici della loro cultura e l’amore per la musica. Quello che per loro è normale, in Italia verrebbe additato come fenomeno mediatico, prendiamo ad esempio John-Mark Sowell ha 15 anni suona il violino da dio ed è il frontman del gruppo e per non farsi mancare niente suona piano, mandolino, chitarra e basso, qui verrebbe chiamato FENOMENO, in realtà lo è… ma quanti John-Mark ci sono in US? Alle nostre latitudini ragazzi come i fratelli Sowell sarebbero a racimolare date gratis o per pochi spiccioli eseguendo cover trite e ri-trite di gruppi del passato, loro no. Sicuramente la differenza la fanno le differenze culturali, religiose, lo stile di vita e l’ambiente nel quale molti dei ragazzi crescono a ridosso delle Appalachian Mountains.

The Family Sowell sono di Knoxville, nel Tennessee sono sei fratelli che inseguono un sogno insieme, la loro musica infonde passione, amore e immenso talento. In ordine di età sono: Jacob Sowell (23 anni il più vecchio del gruppo!!!) al Banjo, Joshua Sowell (21 anni) alla chitarra, Naomi Sowell (19 anni) al contrabbasso, Abigail Sowell (19 anni) al Mandolino, John-Mark Sowell (15 anni) al violino  frontman del gruppo e Justus Sowell (13 anni) al dobro.

Same Kind of Different, è il loro disco appena pubblicato, prodotto dal Nominato ai Grammy, Ben Isaacs, contiene 10 brani originali e 3 cover. The Family Sowell è una delle band più emozionanti che ho ascoltato da molto tempo. Nonostante la giovane età sembrano già una band con una esperienza pluriennale, grande musicalità, armonie vocali perfette, ottimi musicisti, ma soprattutto, quello che adoro di questi 6 ragazzi, è che mi fanno stare bene, infondono spensieratezza, allegria, fanno sembrare semplici cose che in realtà non lo sono, si divertono e fanno divertire. La mamma, Cindy, spesso sale sul palco per unire la sua voce a quella dei suoi figli, mentre il padre Guynn guida l’autobus e gestisce la parte commerciale.

Questo è il loro terzo album, la storia ne è testimone, come spesso capita le Family Band hanno quasi tutte vita breve, godiamoci queste canzoni confidando che le nuove generazioni degli Sowell continuino a portare avanti la stessa passione e lo stesso talento. 

HAM Rodeo – HAM Rodeo EP

HAM Rodeo si sono formati verso la fine del 2017 da quattro pilastri della scena bluegrass di New York City. Alle voci troviamo Christian Apuzzo (chitarra) e Larry Cook (basso), alla steel guitar Justin Camerer e alla batteria Ellery Marshall. La band ha iniziato a suonare musica acustica tradizionale ma col passare del tempo si sono accorti che c’era una fame tra gli ascoltatori dello zoccolo duro della scena musicale del western-swing pronti a ballare sulla loro musica. Con un bagaglio di canzoni dei grandi classici di Hank Williams, Buck Owens, Merle Haggard unito ad influenze più recenti come Caleb Klauder, la band ha iniziato a scrivere musica originale per questo EP di debutto composto da 4 canzoni originali e 2 deliziose cover dedicate a tutti i Good ol’boys. Un EP saldamente ancorato alla tradizionale della musica country americana, Twang e Bakersfield Sound allargando quel poco che basta i confini del loro suono sia per soddisfare i loro gusti  ma col pensiero rivolto a mantenere sempre piena la pista da ballo. Un disco felice, gradevole, facile da ascoltare per chiunque si volesse avvicinare ai due generi senza passare dai classici. HAM Rodeo sono meglio di qualsiasi farmaco antidepressivo, il vostro umore dopo l’ascolto di queste 6 canzoni sarà sicuramente migliore… mettere HAM Rodeo EP come sveglia mattutina e la vostra giornata cambierà… Provare per credere.

Western Centuries – Call the Captain

La canzone “No Depression in Heaven” è stata originariamente registrata dalla Carter Family nel 1936 durante la Grande Depressione, canta della paura e della speranza di molte famiglie che dall’est hanno deciso di intraprendere il viaggio alla ricerca di una vita migliore verso l’ovest. No Depression è il titolo dell’album del 1990 degli Uncle Tupelo che ha rivitalizzato la scena country rock dei ‘60 e quella con tinte più punk degli ’80. Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dalla scena musicale di Seattle col Grunge e da quella di Nashville con il Country-Pop. Uncle Tupelo hanno riportato l’attenzione alla musica country americana tradizionale, la musica dei lavoratori, quella per intenderci di Woody Guthrie, Hank Williams e The Carter Family e il country rock, quello di Byrds che per primi hanno elettrificato il folk di Bob Dylan  e soprattutto  Gram Parsons con i suoi Flyng Burrito Brothers (che definivano il loro suono”Cosmic American Music”). Come abbiamo visto per il movimento OUTLAW anche il movimento No Depression si è formato come una reazione spontanea all’establishment discografico e radiofonico che aveva abbracciato i suoni metallici del Grunge e quelli Pop di Nashville. L’album No depression di Uncle Tupelo è ampiamente accreditato come il primo album “alt-country“, e diede il suo nome al movimento e alla rivista alla base del movimento stesso. Dopo altri tre album si sciolsero nel 1994, aprendo nuovi e interessanti scenari perché Jay Farrar costituì i Son Volt (ad oggi, lo zoccolo duro del movimento), Jeff Tweedy fondò i Wilco a loro seguirono Bottle Rockets, Freakwater, Old 97’s arruolati dall’etichetta Bloodshot, che fu pioniere del genere che definì quel suono insurgent country. Le band Blue Mountain, Whiskeytown, Steve Earle, Drive-By Truckers seguirono a ruota e No-Depression, Alternative Country, Insurgent Country sono state le basi per quella che a partire dagli anni 2000 è stata classificata come musica “Americana”. Definire questa musica è quantomai semplice: è il luogo dove si fondono armoniosamente il folk, il country e il rock’n’roll. Probabilmente è una definizione generalista ma è quella che rappresenta al meglio tanti musicisti e gruppi che interpretano appieno lo spirito della musica che è nata negli stati uniti lasciandola indissolubilmente e romanticamente saldamente ancorata alle radici che la hanno generata.

La band Western Centuries con base a Seattle ritiene che la strada da percorrere sia più ricca se percorsa insieme. Collaborazione, ispirazione e reciproca ammirazione sono ciò che Cahalen Morrison, Ethan Lawton e Jim Miller indicano come il cuore del loro progetto. I Western Centuries celebrano il loro terzo album come una “band della band” con l’uscita di Call the Captain, (un titolo ironico per affermare su come siano una band senza un vero frontman), viene esaltata la collaborazione e la stima reciproca.

Morrison e Lawton si incontrarono a Seattle, dove conducevano due carriere musicali affermate. I due iniziarono a suonare insieme casualmente Quando hanno saputo che Jim Miller, del quale apprezzavano il lavoro e la voce, si era trasferito a Seattle, gli hanno chiesto di suonare con loro e i tre hanno trovato una visione musicale  condivisa unita ad una forte amicizia. 

Miller confessa che dopo 20 anni trascorsi a suonare la chitarra ritmica e a fare i cori in Donna the Buffalo non voleva più essere parte dell’arredo della backline. Western Centuries sono quello che tutti e tre cercavano: una band senza leader; una nave senza capitano.

Su Call the Captain, tutti e tre i cantautori hanno collaborato a scrivere canzoni ed ad alternarsi alla voce solista ed a scambiarsi gli strumenti. I temi trattati nelle 12 canzoni sono tra i più vari “Long Dreadful Journey”, ( Lawton) è costruita su un passo del vangelo e parla di religione come una menzogna, che ha reso terribili le cose fatte a suo nome, sullo stesso tema “Dynamite Kid” (Morrison) dove si esprime lo stesso disprezzo per il lavoro missionario svolto in una pseudo-scuola in New Mexico. “Space Force” (Miller), arricchito dalla presenza di Jim Lauderdale, è una satira sugli armamenti e la politica del presidente Trump.

In tutto l’album, le armonie vocali arricchiscono ed impreziosiscono rendendo unica ciascuna canzone, con una incredibile sintonia sia compositiva che strumentale.

Call the Captain è quello che si può definire un moderno disco di musica Americana con al proprio interno tutti gli elementi tipici del genere, country, bluegrass, soul, R’n’B, ballads e 12 splendide canzoni provenienti proprio dalla zona dove il Country ha sofferto di più ma che ora sembra avere trovato non uno ma ben TRE capitani a portarla nuovamente a galla.