The Day The Music Died

The Day the Music Died è la frase diventata iconica con cui viene ricordato un disastro aereo accaduto nello Iowa il 3 febbraio 1959 ricavata dai versi di una canzone scritta nel 1971, dal cantautore Don McLean, intitolata American Pie. McLean usò l’incidente come metafora per descrivere il trauma della perdita dell’innocenza della generazione che aveva assistito alla nascita del rock and roll.

In quel giorno persero la vita tre popolari musicisti, ancor giovani ma già icone del rock and roll: Buddy Holly di 22 anni, Ritchie Valens di 17 e Big Bopper Richardson di 28.

Il Winter Dance Party dell’inverno 1959 era un tour di più gruppi musicali e cantanti solisti che prevedeva una serie di 24 concerti in altrettante città del Midwest da tenersi nell’arco di tre settimane – dal 23 gennaio al 15 febbraio. 

Le date erano state scelte con poca logica, e il tragitto complessivo era sostanzialmente uno zig zag tra Wisconsin, Michigan e Iowa e subito dopo la partenza del tour si scoprì che il pullman scelto per il trasporto dei musicisti e delle attrezzature si rompeva spesso e aveva grossi problemi all’impianto di riscaldamento e viaggiando nel Midwest dove l’inverno è davvero freddo, il problema era serio!

La sera del 2 Febbraio arrivarono al Surf Ballroom di Clear Lake, nello Iowa, dopo aver viaggiato per oltre 500 chilometri per una data che non faceva parte del del tour ma era stata inserita solo per occupare una serata rimasta scoperta. Il giorno successivo avrebbero dovuto suonare in Minnesota, e quello ancora successivo sarebbero dovuti tornare in Iowa. Buddy Holly, che non ce la faceva più, organizzò un volo charter, per lui e i suoi musicisti Waylon Jennings e Tommy Allsup (che avevano sostituito per quel tour il suo gruppo, i Crikets con i quali aveva litigato), che li portasse a Fargo, in North Dakota, molto vicino alla città del Minnesota dove avrebbero dovuto suonare.

“Sai che stai per partire, sai che è una bugia, perché quello sarà il giorno in cui morirò”, cantava Buddy Holly nel suo brano “That’ll Be the Day”. Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe accaduto così presto.

Big Bopper, che aveva avuto nei giorni precedenti una fastidiosa forma influenzale e i geloni, chiese a Waylon Jennings, se poteva cedergli il posto sull’aereo e Jennings acconsentì senza problemi. 

Quando Holly seppe che Jennings non avrebbe preso l’aereo gli augurò scherzosamente di congelare sul vecchio bus e il musicista, altrettanto scherzosamente, augurò a Holly che il suo aereo potesse schiantarsi.

Le parole dette per scherzo da Jennings lo condizionarono per tutta la vita parole per le quali non ha mai saputo darsi pace.

Jennings e Allsup continuarono il tour per altre due settimane, con Jennings come cantante. Sono stati pagati meno della metà dello stipendio originale concordato e, al ritorno a New York, Jennings ha messo la chitarra e l’amplificatore di Holly in un armadietto al Grand Central Terminal e ha spedito le chiavi a Maria Elena Holly. Poi tornò a Lubbock.

Per decenni in seguito, Jennings ha ripetutamente affermato di sentirsi responsabile dell’incidente che ha ucciso Holly. Questo senso di colpa ha accelerato la fine dell’abuso di sostanze per gran parte della sua carriera.

Ritchie Valens non aveva mai volato in un aereo da turismo prima di allora anzi aveva paura perchè quando era piccolo due aerei si scontrarono sopra la sua scuola e 5 dei suoi compagni morirono,  colpiti dai frammenti degli aerei. Essendo afflitto da geloni, chiese a Tommy Allsup di cedergli il posto. Allsup propose che dovessero lanciare una moneta, il lancio fu effettuato da un disc jockey alla sala da ballo alla fine dello spettacolo. Valens vinse il sorteggio e con esso il posto a sedere sull’aereo per quella notte.

Nel film La Bamba c’è un particolare scambio di battute tra i personaggi di Valens e Holly. Holly dice a Valens sull’aereo, riferendosi al fatto che loro ormai fossero due stelle del rock’n’roll: “Il cielo appartiene alle stelle”. E Valens, che non aveva mai volato prima in vita sua, aveva chiesto: “E le stelle non cadono, vero?

Anche a Dion DiMucci del gruppo Dion & The Belmonts (quarto nome in cartellone insieme a Holly, Big Bopper e Valens) fu offerto di prendere l’aereo, ma il musicista declinò l’invito poiché riteneva il prezzo del biglietto di 26 dollari troppo costoso.

Appena dopo l’una di notte del 3 febbraio il Beechcraft Bonanza decollò dall’aeroporto di Mason City pilotato dal 21enne Roger Peterson, che, nonostante la sua giovane età, aveva già una buona esperienza di volo. Nevicava e la visibilità era scarsa, e dopo il decollo l’aereo scomparve in fretta alla vista. Alle 3:30 del mattino dall’aeroporto Hector di Fargo in North Dakota comunicarono di non avere avuto mai contatti con il velivolo. Il proprietario della compagnia aerea che aveva organizzato il volo, molto preoccupato, la mattina alle 9, prese un altro aereo per seguirne la rotta, avvistandone i resti al suolo a otto chilometri di distanza sul terreno innevato in un campo coltivato a granoturco. 

L’inchiesta realizzata all’epoca accertò che il disastro aereo fu dovuto ad una combinazione di maltempo abbinato ad un errore del pilota.

Si scoprì poi che Peterson non era stato informato correttamente sul meteo, e soprattutto che non era pratico degli antiquati strumenti presenti su quell’aereo: probabilmente interpretò male i dati sull’altitudine, e mentre l’aereo si avvicinava al suolo pensava di guadagnare quota.

Nel 2015 la National Transportation Safety Board, ha acquisito nuovi, inquietanti elementi. Sembra che sul sedile del pilota sia stato trovato un foro provocato da un proiettile e che una pistola, presumibilmente di proprietà di Buddy Holly, giacesse nel campo dove si schiantò l’aereo, a poca distanza dal relitto. Dal tamburo dell’arma, inoltre, sarebbe mancato un proiettile. 

Dettagli molto simili furono già rivelati nel 1996 nel libro firmato da Ellis Amburn, la biografia non autorizzata Buddy Holly: a biography, in cui si raccontava di come la polizia dello Iowa, giunta sul luogo dell’incidente, trovò chiari segni di una colluttazione sulle pareti della cabina del piccolo aereo.

La tragedia della morte di Buddy Holly viene menzionata nel film “American Graffiti” e in un episodio della serie “X-Files”. Su Holly è stato girato inoltre il biopic “The Buddy Holly Story

Insieme ad altri musicisti come Johnny Cash, Chuck Berry e Bill Haley stava facendo quella che sarebbe stata ricordata come una delle più importanti rivoluzioni culturali della seconda metà del Novecento: stava inventando il rock and roll. Non era spavaldo e ancheggiante come Elvis ma profondo ed insicuro, magro e con gli occhiali!

Dopo la sua scomparsa, Holly ha continuato ad  influenzare la nuova scena musicale come pochi altri. Bob Dylan, Mick Jagger, Paul McCartney, Eric Clapton, Elton John, Joe Strummer e Elvis Costello lo hanno venerato come mito assoluto e si sono ispirati alla sua produzione.

Dall’altra parte dell’oceano, il giovane, insicuro e occhialuto, John Lennon prende Buddy Holly come punto di riferimento per seguire la sua passione musicale senza rinunciare a esternare i propri disagi e le proprie sconfitte.

Buddy Holly ebbe un’influenza importantissima sui Beatles. Sotto molto punti di vista.

The Crickets e The Quarrymen si formarono nello stesso anno (1957) e con gli inglesi che copiarono spudoratamente i loro coetanei texani. Questa adorazione dell’eroe si intensificò quando l’esibizione dei Crickets al London Palladium, fu trasmessa dalla TV britannica nel 1958. In effetti, la prima canzone registrata dai Beatles fu That’ll Be The Day.

Il nome “The Beatles” (gli scarafaggi) è un imitazione del nome del gruppo di Buddy Holly, “The Crickets“(i grilli). Paul e John erano alla ricerca di un nome che avesse un doppio significato. Crickets in texas sono i Grilli ma in Inghilterra è un gioco di squadra… allora cercarono anche loro un insetto Beetles che potesse richiamare la musica e sostituendo una “e” nacque il nome The Beatles.

Buddy Holly ha ispirato John Lennon e Paul McCartney a suonare, cantare e scrivere le proprie canzoni. Citando John Lennon: “Buddy Holly è stato il primo di cui eravamo consapevoli in Inghilterra che sapesse suonare e cantare allo stesso tempo – non solo strimpellare, ma effettivamente suonare”. Si presumere che Lennon si riferisse a Elvis Presley, che era più un cantante che un chitarrista. “Ho sentito Presley occasionalmente descrivere che “indossava la chitarra meglio di come la suonava”. Holly, al contrario, poteva fare entrambe le cose contemporaneamente. Ancora più importante, Holly ha scritto materiale originale, ispirando ulteriormente i Beatles a fare lo stesso.

Paul McCartney ha rivelato che è grazie a Buddy Holly che John Lennon si decise ad indossare gli occhiali. «Era cieco come un pipistrello, ma fin da ragazzo si vergognava a mettere gli occhiali. Solo quando vide che Buddy aveva successo si decise a portarli. Senza, non riusciva davvero a vedere nulla. Ricordo che una volta, sotto Natale, mi disse che vicino a casa sua c’era gente che giocava a carte nel giardino, al freddo, all’una di notte. Incuriosito, passai a dare un’occhiata, e vidi che era un presepe».

John registrò Peggy Sue di Holly nel suo album “Rock And Roll” del 1975. La prima canzone che imparò a suonare fu “That’ll Be The Day” di Holly.

Paul possedeva i gemelli che Holly indossava quando morì. Acquistò inoltre, il catalogo musicale di Buddy Holly e a partire dal 1976  organizzò una festa per il giorno della sua nascita, chiamata “Buddy Holly Week”.

Durante l’esistenza dei Quarrymen/Beatles, hanno suonato un totale di almeno 13 canzoni di Buddy Holly nei loro spettacoli dal vivo.

I Beatles registrarono per la prima volta “Crying, Waiting, Hoping” per la loro sfortunata audizione alla Decca il giorno di Capodanno del 1962.

Lo registrarono di nuovo il 16 luglio 1963 per il programma radiofonico Pop Goes the Beatles, la canzone è inclusa nell’album The Beatles: Live at the BBC.

I Beatles suonarono “Mailman, Bring Me No More Blues” nei loro spettacoli dal vivo dal 1961 al 1962, ma non lo registrarono mai fino al gennaio 1969, durante le sessioni di Get Back, la possiamo trovare in The Beatles Anthology 3.

I Beatles non registrarono mai “Maybe Baby” fino al gennaio 1969, quando lo suonarono durante le sessioni di Get Back.

Il lato A del singolo contenente “Mailman, Bring Me No More Blues” era “Words of Love“, che i Beatles inclusero nel loro album del 1964 Beatles for Sale .

Groundhog Day

Le radici del giorno della Candelora affondano nella tradizione cristiana, che il 2 Febbraio di ogni anno festeggia, la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme come è raccontato nel vangelo di Luca (2, 22-29). Simeone, uomo saggio e giusto, prese in braccio Gesù e recitò le parole che nella liturgia delle ore vengono recitate ogni giorno: «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Questa ultima frase diede origine alla tradizione della benedizione delle candele che simboleggiano per l’appunto l’arrivo della Luce e, a seconda del loro consumo, quanto sarebbe stato ancora lungo l’inverno.

A seguito di questa, con gli anni, si sono moltiplicate le credenze e le tradizioni popolari che hanno fatto del giorno della Candelora la data di inizio della fine dell’invero. “Quando vien la Candelora, dall’inverno semo fora, quaranta dì di inverniciola” è il detto che mi è stato insegnato fin da piccolo. Come per il giorno dei morti ed altre festività legate alla chiesa cattolica, negli altri paesi sono state avviate tradizioni ed usanze più laiche. Così il 2 Febbraio è diventato il giorno in cui, osservando il comportamento degli animali in letargo, si sarebbe stabilita la durata del periodo freddo. I tedeschi per le previsioni scelsero il riccio, ma una volta arrivati nel Nuovo Mondo come coloni, in mancanza di ricci ma circondati invece dalle marmotte, presero queste come mezzo per prevedere la durata dell’inverno. Fu così che nel 1887 a Punxsutawney, in Pennsylvania venne celebrato il primo Groundhog Day. Alla marmotta venne dato il nome di Phil e da allora tutte le generazioni a seguire hanno mantenuto lo stesso nome. Il meccanismo è molto semplice, ogni 2 di febbraio ci si riunisce davanti alla tana di una marmotta in letargo e si attende che esca, se la marmotta esce dalla tana e vedendo la sua ombra si spaventa ritornando nella sua tana, si prevedendo almeno ancora sei settimane di clima invernale, Se invece resta all’esterno a godersi l’aria fresca significa che la primavera è alle porte. La tradizione è raccontata nel film del 1993 Groundhog Day con Bill Murray tradotto malamente in italiano col titolo Ricomincio da capo. Quest’anno purtroppo causa COVID, la celebrazione al Gobbler’s Knob a Punxsutawney, che richiama migliaia di persone, non si svolgerà …chissà cosa farà Phil!?

Jingle Bells

Questa sera aprirò la puntata dedicata al Thanksgiving Day con “Jingle Bells” non perché ci stiamo avvicinando clamorosamente al Natale, semplicemente perché “One Horse Open Sleigh” (questo è il suo titolo originale) non doveva essere una canzone di Natale, era semplicemente stata scritta da James Pierpont tra il 1850 ed il 1857 non si sa bene dove e neppure il perché. Forse Pierpont la scrisse seduto ad un tavolo di una birreria mentre guardava una gara di slitte, forse in una pensione nel centro di Boston o forse per abbracciare una storia più romantica, in una chiesa locale di Savannah, in Georgia, dove la gente insiste che Pierpont scrisse la canzone alla fine del 1857 prima di dirigere il primo canto di “Jingle Bells” in occasione del Giorno del Ringraziamento.

Nel testo della canzone non viene menzionato il Natale, il Ringraziamento o qualsiasi altra festa, del resto l’unica frase che si ripete più volte è quella “One Horse Open Sleigh” immagine associata alla slitta di Babbo Natale, sta di fatto che, dopo che Johnny Pell eseguì il brano il 15 settembre 1857 (anche qui, non si sa di preciso dove), con il passare degli anni, con l’aggiunta di campanelli e risate di Santa Claus è diventato un classico natalizio.

Backstreets Country Bunker: ritorno alle origini di Maurizio Ceccarini (newsrimini.it)

Ci sono i fan della prima ora e quelli arrivati nel corso degli anni. Ma a tutti i riminesi sarà capitato, guidando nel traffico del rientro post lavoro, di incrociare la sua voce ad alta radiofonicità mentre introduce brani che portano su strade ben diverse da quelle che a quell’ora l’autoradio propone. Lele Guerra accompagna gli ascoltatori di Radio Icarosulle “strade secondarie della musica” dal 1996 con le sue Backstreets, trasmissione che si presenta dal 2 settembre in versione rinnovata ma pienamente fedele allo spirito originale.

Lele, raccontaci come sono nate le Backstreets

L’amore per la radio dentro di me ha radici profonde: Alto Gradimento e RaiStereoNotte sono state le trasmissioni guida nella mia vita. A 10 anni passavo interi pomeriggi a trasmettere «per finta»nella mia camera, a 13 ho aperto una radio libera vera e propria, «Radio Five», nel 1995 sono arrivato a Radio Icaro e qui, dopo essermi espresso sui fronti più disparati, nel 1996 ha piano piano preso vita il progetto Backstreets. In un panorama radiofonico che lascia poco all’immaginazione ho voluto proporre un programma dove il solo protagonista sono le emozioni, quelle che solo la musica è in grado di regalare.  Le strade secondarie della musica, con gli anni, sono passate da una trasmissione settimanale ad un appuntamento quotidiano nella fascia del ‘driving time’”.

La musica «Americana» è quella con la quale ho iniziato e anche se, in questi venti e passa anni mi sono ritrovato a programmare dischi di un ben più vasto panorama musicale, alla fine le emozioni che suscitano i due generi «il country ed il western» hanno avuto il sopravvento su tutto il resto, così sono ritornato alle origini e dal 2 di Settembre partirà: Backstreets Country Bunker,  un omaggio sfacciato al Bob’s Country Bunker, locale del film The Blues Brothers”.

Cosa hanno di particolare country e western?

La musica Folk racconta storia di un popolo, non esisterebbero il rock, il blues e tutti i loro derivati se su quelle montagne (Appalachi) vicino alla costa Est degli Stati Uniti, i primi coloni non avessero incominciato a fare musica. Il termine Country & Western è stata una invenzione di Billboard, storica rivista di classifiche musicali, del 1949 per identificare la musica del popolo che oramai era diventata un fenomeno nazionale, sotto una unica denominazione: Country & Western sono sostanzialmente la stessa cosa ma la prima si intende suonata ad est e la seconda ad ovest… tutto qui”.

Cosa cambia nel format?

Nuovo nome e nuova sigla con al suo interno un accenno di The good old boys (sigla del telefilm: The Dukes of Hazzard), un riferimento culturale imprescindibile per chi ama i due generi e la cultura americana.  Ho aggiunto dialoghi di Jake ed Elwood che danno sempre un tono alle sigle e le rubriche: Alcoholic Corner (c’è sempre più di una canzone dedicata al Whiskey o alla birra in un album country), Front Porch (canzoni di questo secolo) , Back Porch (canzoni dell’altro secolo) e Moonshine (canzoni delle radici) continueranno a fare parte integrante della trasmissione”.

Lele Guerra

Che pubblico hai raccolto in questi anni?

Con gli anni le Backstreets si sono costruite un pubblico ben preciso, ampliatosi in seguito grazie al podcast (backstreets.it), c’è chi è andato, chi è venuto e chi in questi anni è sempre restato un fedele ascoltatore. Vorrei ringraziare tutti per l’affetto che mi avete dimostrato in questi anni e, bontà vostra, per quelli a venire. 

Radio Icaro ancora oggi, come da sempre sua caratteristica, propone una ricca varietà di programmi musicali prodotti da appassionati, dj, musicisti e cultori di diversi generi. Un palinsesto in cui le Backstreets rappresentano il marchio storico.

Ringrazio Radio Icaro perché ha sempre avuto un occhio di riguardo per me e per la trasmissione, lasciando che uno degli spazi orari più ambiti fosse occupato da musica… la meno commerciale. Ringrazio con affetto Max Alberici (voce storica delle sigle delle Backstreets) e Matteo Munaretto per il supporto e il sostegno quotidiano che da sempre mi elargiscono a piene mani”.

Un invito, anche per chi magari ancora non ti conosce, a entrare nel “Bunker” delle Backstreets.

Credo che le Backstreets siano un’isola a parte, un momento della giornata nel quale il rumore di fondo del monotono «flusso» radiofonico viene interrotto da canzoni che lasciano un segno, rilasciano un benessere fisico e mentale e ci portano dentro un mondo fatto ancora di cose semplici, di storie semplici e di accordi semplici. Magari provate ad ascoltarla, anche solo per cinque minuti”.

E di chi da 23 anni si muove con passione e competenza sulle strade della buona musica ci si può solo fidare.

Le Backstreets sono in onda dal lunedì al Sabato ore 18.20 (la repliche alle ore 0.20) su Radio Icaro (anche in streaming www.radioicaro.com e in Podcast www.backstreets.it)

 

Un omaggio ad un grande uomo libero

Avevo 10 anni, in casa mia c’erano 4 dischi: Azzurro di Celentano (classico), La buona novella di De Andrè (che non sono mai riuscito ad apprezzare),  Jannacci Enzo di Jannacci (adorabile), e Far finta di essere sani di Giorgio Gaber.

A quell’età non potevo capire la musica ed i testi di quel disco, ma me ne innamorai perdutamente fino a consumarlo, fino a conoscerne persino i click dovuti dall’usura degli ascolti.

Crescendo quell’amore si è amplificato ed è maturato, ho incominciato a comprenderne i testi e quelle canzoni e quei monologhi mi hanno fatto entrare in sintonia con quell’uomo che diceva delle cose col sorriso sulle labbra, ma cose vere che dicevano dell’uomo, dicevano di me, descrivevano le paure, le emozioni, le senzazioni, le gioie e la rabbia che sono dentro ognuno di noi. Mi ci sono ritrovato, mi sono scoperto, mi sono aperto al mondo e in quelle parole e musica ho trovato insegnamento, confronto, consolazione e una grande affinità.
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Stay hungry, stay foolish!!

Volevo scrivere qualcosa… ma non ci sono riuscito… perchè il solo guardare il monitor del mio iMac mi ricorda lui, mandare un messaggio dal mio iPhone mi ricorda lui, ascoltare musica dal mio iPod mi ricorda ancora lui e fare la mia trasmissione con il mio MacBook mi ricorda sempre ed ancora lui. Steve Jobs l’ho sempre visto come un fratello più grande che ha saputo dare forma ai miei sogni e ai miei desideri, ora mi mancherà terribilmente, mi sento scemo, ma faccio fatica a smettere di piangere… grazie Steve!

Stratocater’s heroes!!!

In memoria di Stevie Ray Vaughan & Jeff Healey

A pochi giorni di distanza dal 21°anniversario della morte di Stevie Ray Vaughan (27 agosto 1990) sento un fottuto bisogno di fare outing! Il 1990 è stato un anno terribile, un anno in cui la morte ha bussato alla mia porta di casa, un anno che non ha portato nulla di buono!!! Tronfio di saccenza e ottusità, barricato all’interno del mio castello di certezze, ho escluso SRV dai miei ascolti perchè… non so, Hendrix popolava le mie playlist e forse mi bastava, non ero propenso a rivisitazioni blues ma intento alla scoperta di pianeti musicali nuovi, era bianco, quindi poco credibile… non mi interessava la tecnica o la sua capacità di dare un’anima a quel legno sagomato con sei corde come Geppetto con Pinocchio, non so perchè… ma sta di fatto che con la saggezza dei 30 anni ho scoperto che questo ragazzo texano avvezzo all’alcool ed alle droghe, in alcuni momenti sorpassava perfino il maestro!!!! La rivalutazione ha contribuito a riempire lo scaffale di tutti i CD e di ascolti fiume, soprattutto dei suoi concerti… SRV è stato un grande, tra i più grandi di sempre, chiedo scusa a Stevie, a Christian, a Patrick e a tutti quelli ai quali non ho dato ascolto quando era il momento di farlo. Nella mia personale classifica di 47enne tra i più grandi chitarristi di tutti i tempi, metterei al primo posto Jimi Hendrix, al secondo Stevie Ray Vaughan e al terzo Jeff Healey, l’unico capace di tenergli testa, poche volte condivisero il palco ma quando lo fecero, amici miei fu catartico! La Fender dal 1992 produce la Stratocaster Stevie Ray Vaughan, Jeff ci ha lasciato nel 2008 a causa di una malattia agli occhi che lo aveva reso non vedente fin dall’età di un anno. Ecco amici, ora sto meglio… grazie Stevie, grazie Jeff e perdonatemi per la mia poca fede…

oggi…come 26 anni fa!!! Springsteen a Milano!

21 giugno 1985, ore 5.00 partenza da Bologna destinazione Milano. Non so cosa mi aspetta, non sono mai stato ad un concerto di Springsteen, questa è la sua prima volta in Italia, questa è la prima volta che lo incontrerò! Internet era lungi da venire, di lui solo poche informazioni, un po’ di foto e qualche bootleg comprato impegnando copie di Alan Ford, Zagor e Capitan Miki! Era davvero quello che si diceva? uno spettacolo continuato di 4 ore? Una esplosione di suoni, energia ed emozioni?… Ore 9.00, giornata caldissima, la prima dell’estate, cancelli chiusi ma già assiepati di ragazzi che hanno passato la notte nei sacco a pelo attendendo l’apertura prevista per le 15.00! Non ho mai visto tanta gente, si parla di 80.000 forse di più attesi per il concerto, non ricordo niente dell’attesa, mi rimangono una bandiera americana con l’immagine dell’album Born in the U.S.A. e la maglietta commemorativa, i soldi risparmiati andando a mangiare in mensa per 15 giorni sono quasi finiti, rimangono giusto quelli per un panino e per il treno del ritorno. Ad una certa ora ecco aprirsi i cancelli, c’è la corsa al campo ma quando metto piede sul sacro terreno di San Siro sono già abbondantemente dietro la metà campo, resto li un po’ e poi mi sposto in laterale… zighi dopo “zighi” si fanno le 19.00, la luce è ancora quella bella delle lunghe giornate primaverili, la sensazione è quella di essere ad un evento, il più importante della mia vita… aspetto Badlands come canzone iniziale perchè era quella con la quale aveva aperto i concerti del precedente tour… ma qui no, qui parte Born in the U.S.A.!!! Il cuore si ferma un attimo, bloccando stomaco e polmoni, non respiro… come pietra… lo vedo entrare sul palco, così come me lo ero immaginato…. così come mi sarei vestito io per i mesi a seguire, stivali, jeans, maglia con maniche strappate e bandana sulla fronte!!! L’onda di persone si muove verso il fronte del palco, uno tsunami umano che vorrebbe abbracciarlo tutto, incominciano con gli idranti sul pubblico e dritto allo stomaco la cassa ed il rullante mi dicono che è iniziato e che nulla cancellerà mai più quel momento. Badlands è la seconda, il cuore ha nel frattempo ha ripreso a battere e ora va ai 1000, ma ad ogni canzone si ferma per un attimo, tutto quello che pochi istanti prima era solo su carta, su vinile e nella mia mente ora è reale e quegli 80.000 non esistono più, siamo solo noi, io, Bruce Springsteen e la E-Street Band! 28 colpi ha sparato il boss quella magica notte e ho accusato altrettanti arresti cardiaci! Dopo quasi 4 ore di concerto ne vorrei ancora e ancora perchè all’appello ne mancano tante… sono praticamente sveglio dalle 9.00 del giorno precedente ma non me ne rendo conto e alle 9.00 del 22 giugno quando metto piede alla stazione di Rimini, dopo aver salutato Elena, la mia compagna di viaggio che scenderà a Fano, compro il giornale per rendermi conto se tutto quello che ho vissuto è realtà, scoprendo che è stato tutto vero e meraviglioso, mi avvio a piedi verso casa ma qualcosa quel 21 Giugno 1985 è cambiata, sono stato marchiato a vita da una magia che non tornerà mai più!

LA PLAYLIST
1. Born In The U.S.A. 2. Badlands 3. Out In The Street 4. Johnny 99 5. Atlantic City 6. The River 7. Working On The Highway 8. Trapped 9. Prove It All Night 10. Glory Days 11. The Promised Land 12. My Hometown 13. Thunder Road 14. Cover Me 15. Dancing In The Dark 16. Hungry Heart 17. Cadillac Ranch 18. Downbound Train 19. I’m On Fire 20. Because The Night 21. Backstreets 22. Rosalita (Come Out Tonight) 23. Can’t Help Falling In Love 24. Born To Run 25. Bobby Jean 26. Ramrod 27. Twist And Shout/Do You Love Me 28. Rockin’ All Over The World

Il gatto rock

C’era una volta un gatto che apparteneva a una rock band e a forza di sentire concerti ne fa uno anche lui, si fa una band tutta sua. Dopo però un anziano grida: «Fate schifo! buuuuu». Ma il gatto rock ha un asso nella manica, spacca la chitarra e dentro c’è una spada e il vecchietto scappa a gambe levate e il gatto rock vive felice e contento.

Federico Guerra (my son)